Notizie, appuntamenti, concerti, mostre, festival, sagre, nascite, morti, matrimoni, informazioni di vario genere, ma anche spunti di riflessione, perle di lettura, proposte di passatempo. Per aiutare la lettura a chi ci segue con costanza, inseriremo i contributi in ordine cronologico, partendo dalla cima della pagina. Chi volesse segnalare qualsivoglia proposta scriva a:

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SANTA CATERINA PERDE LA PAZIENZA

 

A qualunque lato io mi volgo, vedo che ognuno li porta [al demonio] le chiavi del libero arbitrio con la perversa volontà; e secolari e religiosi e li chierici con superbia correno alle delizie […] del mondo, con molta immondizia e miseria, ma sopra tutte l’altre cose, che io vegga, che sia molto abominevole a Dio, si è delli fiori che sono piantati nel corpo mistico della santa Chiesa, che debbono essere fiori odoriferi, e la vita loro specchio di virtù, gustatori ed amatori dell’onore di Dio e della salute dell’anime, ed egli gittano puzza d’ogni miseria, ed amatori di loro medesimi raunando li difetti loro con esso gli altri, e singolarmente nella persecuzione che è fatta alla dolce Sposa di Cristo ed alla santità vostra. […] Mettete mano a levare la puzza de’ ministri della santa Chiesa; traetene i fiori puzzolenti, piantatevi i fiori odoriferi, uomini virtuosi che temino Dio.

 

Comincia con questa citazione, quanto mai attuale, di una lettera di Santa Caterina a Gregorio XI, l'articolo sulla santa copatrona d'Italia sul Palazzo di Sichelgaita. Assolutamente da leggere per chi ama il Medioevo e la Chiesa.


La Bellezza che crolla...

 

Vi segnalo il bell'articolo del sito Il Palazzo di Sichelgaita, La Bellezza che crolla e l'"Ora, lege et labora", una lettura alternativa (finalmente) del terremoto in Centro Italia.

 


23 OTTOBRE
San SEVERINO MANLIO BOEZIO

Filosofo e martire - Sec. VI

Riportiamo qui di seguito un breve testo del Papa Emerito Benedetto XVI all'Udienza Generale del 12 marzo 2008.

 

Boezio, nato a Roma nel 480 circa dalla nobile stirpe degli Anicii, entrò ancor giovane nella vita pubblica, raggiungendo già a venticinque anni la carica di senatore. Fedele alla tradizione della sua famiglia, si impegnò in politica convinto che si potessero temperare insieme le linee portanti della società romana con i valori dei popoli nuovi. E in questo nuovo tempo dell'incontro delle culture considerò come sua propria missione quella di riconciliare e di mettere insieme queste due culture, la classica romana con la nascente del popolo ostrogoto. Fu così attivo in politica anche sotto Teodorico, che nei primi tempi lo stimava molto. Nonostante questa attività pubblica, Boezio non trascurò gli studi, dedicandosi in particolare all’approfondimento di temi di ordine filosofico-religioso. Ma scrisse anche manuali di aritmetica, di geometria, di musica, di astronomia: tutto con l'intenzione di trasmettere alle nuove generazioni, ai nuovi tempi, la grande cultura greco-romana. In questo ambito, cioè nell’impegno di promuovere l'incontro delle culture, utilizzò le categorie della filosofia greca per proporre la fede cristiana, anche qui in ricerca di una sintesi fra il patrimonio ellenistico-romano e il messaggio evangelico. Proprio per questo, Boezio è stato qualificato come l’ultimo rappresentante della cultura romana antica e il primo degli intellettuali medievali.

La sua opera certamente più nota è il De consolatione philosophiae, che egli compose in carcere per dare un senso alla sua ingiusta detenzione. Era stato infatti accusato di complotto contro il re Teodorico per aver assunto la difesa in giudizio di un amico, il senatore Albino. Ma questo era un pretesto: in realtà Teodorico, ariano e barbaro, sospettava che Boezio avesse simpatie per l’imperatore bizantino Giustiniano. Di fatto, processato e condannato a morte, fu giustiziato il 23 ottobre del 524, a soli 44 anni. Proprio per questa sua drammatica fine, egli può parlare dall’interno della propria esperienza anche all’uomo contemporaneo e soprattutto alle tantissime persone che subiscono la sua stessa sorte a causa dell’ingiustizia presente in tanta parte della ‘giustizia umana’. In quest’opera, nel carcere cerca la consolazione, cerca la luce, cerca la saggezza. E dice di aver saputo distinguere, proprio in questa situazione, tra i beni apparenti – nel carcere essi scompaiono – e i beni veri, come come l’autentica amicizia che anche nel carcere non scompaiono. Il bene più alto è Dio: Boezio imparò – e lo insegna a noi – a non cadere nel fatalismo, che spegne la speranza. Egli ci insegna che non governa il fato, governa la Provvidenza ed essa ha un volto. Con la Provvidenza si può parlare, perché la Provvidenza è Dio. Così, anche nel carcere gli rimane la possibilità della preghiera, del dialogo con Colui che ci salva. Nello stesso tempo, anche in questa situazione egli conserva il senso della bellezza della cultura e richiama l’insegnamento dei grandi filosofi antichi greci e romani come Platone, Aristotile – aveva cominciato a tradurre questi greci in latino - Cicerone, Seneca, ed anche poeti come Tibullo e Virgilio.

La filosofia, nel senso della ricerca della vera saggezza, è secondo Boezio la vera medicina dell’anima (lib. I). D’altra parte, l’uomo può sperimentare l’autentica felicità unicamente nella propria interiorità (lib. II). Per questo, Boezio riesce a trovare un senso nel pensare alla propria tragedia personale alla luce di un testo sapienziale dell’Antico Testamento (Sap 7,30-8,1) che egli cita: “Contro la sapienza la malvagità non può prevalere. Essa si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa” (Lib. III, 12: PL 63, col. 780). La cosiddetta prosperità dei malvagi, pertanto, si rivela menzognera (lib. IV), e si evidenzia la natura provvidenziale dell’adversa fortuna. Le difficoltà della vita non soltanto rivelano quanto quest’ultima sia effimera e di breve durata, ma si dimostrano perfino utili per individuare e mantenere gli autentici rapporti fra gli uomini. L’adversa fortuna permette infatti di discernere i falsi amici dai veri e fa capire che nulla è più prezioso per l’uomo di un’amicizia vera. Accettare fatalisticamente una condizione di sofferenza è assolutamente pericoloso, aggiunge il credente Boezio, perché “elimina alla radice la possibilità stessa della preghiera e della speranza teologale che stanno alla base del rapporto dell’uomo con Dio” (Lib. V, 3: PL 63, col. 842).

La perorazione finale del De consolatione philosophiae può essere considerata una sintesi dell’intero insegnamento che Boezio rivolge a se stesso e a tutti coloro che si dovessero trovare nelle sue stesse condizioni. Scrive così in carcere: “Combattete dunque i vizi, dedicatevi ad una vita virtuosa orientata dalla speranza che spinge in alto il cuore fino a raggiungere il cielo con le preghiere nutrite di umiltà. L’imposizione che avete subìto può tramutarsi, qualora rifiutiate di mentire, nell’enorme vantaggio di avere sempre davanti agli occhi il giudice supremo che vede e sa come stanno veramente le cose” (Lib. V, 6: PL 63, col. 862). Ogni detenuto, per qualunque motivo sia finito in carcere, intuisce quanto sia pesante questa particolare condizione umana, soprattutto quando essa è abbrutita, come accadde a Boezio, dal ricorso alla tortura. Particolarmente assurda è poi la condizione di chi, ancora come Boezio che la città di Pavia riconosce e celebra nella liturgia come martire della fede, viene torturato a morte senza alcun altro motivo che non sia quello delle proprie convinzioni ideali, politiche e religiose. Boezio, simbolo di un numero immenso di detenuti ingiustamente di tutti i tempi e di tutte le latitudini, è di fatto oggettiva porta di ingresso alla contemplazione del misterioso Crocifisso del Golgota.


Domenica della Divina Misericordia

Oggi 3 aprile la Chiesa celebra, nella seconda domenica dopo Pasqua, la Festa della Divina Misericordia. Il sito Santi, Beati e Testimoni così pubblica: “È la più importante di tutte le forme di devozione alla Divina Misericordia. Gesù parlò per la prima volta del desiderio di istituire questa festa a suor Faustina a Płock nel 1931, quando le trasmetteva la sua volontà per quanto riguardava il quadro: "Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l'immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia". Negli anni successivi - secondo gli studi di don I. Rozycki - Gesù è ritornato a fare questa richiesta addirittura in 14 apparizioni definendo con precisione il giorno della festa nel calendario liturgico della Chiesa, la causa e lo scopo della sua istituzione, il modo di prepararla e di celebrarla come pure le grazie ad essa legate.

 

 

La scelta della prima domenica dopo Pasqua ha un suo profondo senso teologico: indica lo stretto legame tra il mistero pasquale della Redenzione e la festa della Misericordia, cosa che ha notato anche suor Faustina: "Ora vedo che l'opera della Redenzione è collegata con l'opera della Misericordia richiesta dal Signore".”

 

Inutile, forse, ricordare che a dedicare alla Divina Misericordia questa particolare domenica fu Papa san Giovanni Paolo II, che proprio alla vigilia di questa festa nel 2005 morì. Era il 2 aprile.


Nel mezzo del cammin...

Dal 7 dicembre 2015 sul canale televisivo TV2000 è iniziato un appuntamento settimanale (al lunedì) nel quale Franco Nembrini, esperto divulgatore di Dante Alighieri, rilegge la Divina Commedia, approfondendone i contenuti, aiutandoci a riflettere sul desiderio perenne di verità, libertà e giustizia che i suoi versi suggeriscono.
Il programma in 34 puntate (a 750 anni dalla nascita del Sommo Poeta) propone un approfondimento culturale sulla misericordia, tema cardine del Giubileo Straordinario, inaugurato  l’8 dicembre 2015.
E' possibile rivedere le puntate già trasmesse clickando sul seguente link:
http://www.tv2000.it/blog/category/nelmezzodelcammin/

 


 

Fioretti di san Francesco - I tre ladroni

CAPITOLO VENTISEIESIMO. Come santo Francesco convertì tre ladroni micidiali e fecionsi frati; e della nobilissima visione che vide l'uno di loro, il quale fu santissimo frate.

 

Santo Francesco andò una volta per lo diserto del Borgo a Santo Sipolcro e passando per uno castello che si chiama Monte Casale, venne a lui un giovane nobile e delicato e dissegli: “Padre, io vorrei molto volentieri essere de' vostri frati”. Risponde santo Francesco: “Figliuolo tu se' giovane e delicato e nobile; forse tu non potresti sostenere la povertà e l'asprezza nostra”. Ed egli disse: “Padre, non siete voi uomini com'io? Dunque come la sostenete voi, così potrò io con la grazia di Cristo”. Piacque molto a santo Francesco quella risposta; di che benedicendolo, immantanente lo ricevette all'Ordine e puosegli nome frate Agnolo. E portossi questo giovane così graziosamente, che ivi a poco tempo santo Francesco il fece guardiano nel luogo detto di Monte Casale.

 

In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, li quali faceano molti mali nella contrada, li quali vennono un dì al detto luogo de' frati e pregavano il detto frate Agnolo guardiano che desse loro da mangiare. E 'l guardiano rispuose loro in questo modo, riprendendoli aspramente: “Voi, ladroni e crudeli e omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui; ma eziandio, come presuntuosi e isfacciati, volete divorare le limosine che sono mandate alli servi di Dio, che non siete pure degni che la terra vi sostenga, però che voi non avete nessuna reverenza né a uomini né a Dio che vi creò: andate adunque per li fatti vostri, e qui non apparite più”. Di che coloro turbati, partirono con grande sdegno.

 

Ed ecco santo Francesco tornare di fuori con la tasca del pane e con un vaselletto di vino ch'egli e 'l compagno aveano accattato, e recitandogli il guardiano com'egli avea cacciato coloro, santo Francesco fortemente lo riprese, dicendo che s'era portato crudelmente, “impero ch'elli meglio si riducono a Dio con dolcezza che con crudeli riprensioni; onde il nostro maestro Gesù Cristo, il cui evangelo noi abbiamo promesso d'osservare, dice che non è bisogno a' sani il medico ma agli infermi, e che non era venuto a chiamare li giusti ma li peccatori a penitenze, e però ispesse volte egli mangiava con loro. Conciò sia cosa adunque che tu abbi fatto contra alla carità e contro al santo evangelo di Cristo, io ti comando per santa obbedienza, che immantanente tu sì prenda questa tasca del pane ch'io ho accattato e questo vasello del vino, e va' loro dietro sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li truovi, e presenta loro tutto questo pane e questo vino per mia parte; e poi t'inginocchia loro dinanzi e di' loro umilmente tua colpa della crudeltà tua, e poi li priega da mia parte che non facciano più male, ma temano Iddio e non offendano il prossimo; e s'egli faranno questo, io prometto di provvederli nelli loro bisogni e di dare loro continuamente e da mangiare e da bere. E quando tu arai detto loro questo, ritornati in qua umilmente.” Mentre che il detto guardiano andò a fare il comandamento di santo Francesco, ed egli si puose in orazione e pregava Iddio ch'ammorbidasse i cuori di quelli ladroni e convertisseli a penitenza.

 

Giugne loro l'ubbidiente guardiano ed appresenta loro il pane e 'l vino, e fa e dice ciò che santo Francesco gli ha imposto. E, come piacque a Dio, mangiando que' ladroni la limosina di santo Francesco, cominciarono a dire insieme: “Guai a noi miseri isventurati! E come dure pene dello inferno ci aspettiamo, i quali andiamo non solamente rubando li prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo; e nientedimeno di tanti mali e così scellerate cose, come noi facciamo, noi non abbiamo nessuno rimordimento di coscienza né timore di Dio. Ed ecco questo frate santo, ch'è venuto a noi per parecchie parole che ci disse giustamente per la nostra malizia, ci ha detto umilemente sua colpa e oltre a ciò ci ha recato il pane e lo vino e così liberale promessa del santo padre. Veramente questi si sono frati santi di Dio li quali meritano paradiso di Dio, e noi siamo figliuoli della eternale perdizione, li quali meritiamo le pene dello inferno, e ogni indì accresciamo alla nostra perdizione, e non sappiamo se de' peccati che abbiamo fatti insino qui noi potremo tornare alla misericordia di Dio”. Queste e somiglianti parole dicendo l'uno di loro, dissono gli altri due: “Per certo tu di' il vero; ma ecco che dobbiamo noi fare?”. “Andiamo, disse costui, a santo Francesco, e s'egli ci dà speranza che noi possiamo tornare a misericordia di Dio de' nostri peccati, facciamo ciò ch'e' ci comanda, e possiamo liberare le nostre anime dalle pene dello inferno.”

 

Piacque questo consiglio agli altri; e così tutti e tre accordati se ne vengono in fretta a santo Francesco e dicongli: “Padre, noi per molti iscellerati peccati che noi abbiamo fatti, noi non crediamo potere tornare alla misericordia di Dio; ma se tu hai nessuna isperanza che Iddio ci riceva a misericordia, ecco che noi siamo apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai e di fare penitenza teco”. Allora santo Francesco ricevendoli caritativamente e con benignità, sì li confortò con molti esempi e, rendendoli certi della misericordia di Dio, promise loro di certo d'accattarla loro da Dio e mostrando loro la misericordia di Dio essere infinita: “e se noi avessimo infiniti peccati, ancora la misericordia divina è maggiore ch'e' nostri peccati, secondo il Vangelo, e lo apostolo santo Paulo disse: Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare li peccatori. Per quali parole e simiglianti ammaestramenti, li detti tre ladroni renunziarono al dimonio e alle sue opere, e santo Francesco li ricevette all'Ordine, e cominciarono a fare grande penitenza; e due di loro poco vissono dopo la loro conversione e andaronsi a Paradiso. Ma il terzo sopravvivendo e ripensando alli suoi peccati, si diede a fare tale penitenza, che per quindici anni continovi, eccetto le quaresime comuni, le quali egli facea con gli altri frati, d'altro tempo sempre tre dì la settimana digiunava in pane e in acqua, e andando sempre scalzo e con una sola tonica indosso, e mai non dormia dopo Mattutino.

 

Fra questo tempo santo Francesco passò di questa misera vita. E avendo dunque costui per molti anni continovato cotale penitenza, ecco ch'una notte dopo 'l Mattutino, gli venne tanta tentazione di sonno, che per nessuno modo egli potea resistere al sonno e vegghiare come soleva. Finalmente, non potendo egli resistere al sonno né orare, andossene in sul letto per dormire; e subito com'egli ebbe posto giù il capo, fu ratto e menato in ispirito in su uno monte altissimo, al quale era una ripa profondissima, e di qua e di là sassi ispezzati e ischeggiosi e iscogli disuguali ch'uscivano fuori de' sassi; di che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l'Agnolo che menava questo frate sì lo sospinse e gittollo giù per quella ripa; il quale trabalzando e percotendo di scoglio in iscoglio e di sasso in sasso, alla perfine giunse al fondo di questa ripa, tutto smembrato e minuzzato, secondo che a lui parea. E giacendosi così male acconcio in terra, dicea colui che 'l menava: “Lieva su, che ti conviene fare ancora grande viaggio”. Rispuose il frate: “Tu mi pari molto indiscreto e crudele uomo, che mi vedi per morire della caduta, che m'ha così ispezzato, e dimmi; lieva su!”. E l'Agnolo s'accosta a lui e toccandolo gli salda perfettamente tutti li membri e sanalo. E poi gli mostra una grande pianura di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene correre e passare a piedi ignudi infino che giunga al fine, nel quale e' vedea una fornace ardente nella quale gli convenia entrare.

 

E avendo il frate passato tutta la pianura con grande angoscia e pena, e l'Agnolo gli dice: “Entra in questa fornace, però che così ti conviene fare”. Risponde costui: “Oime, quanto sei crudele guidatore, che mi vedi esser presso che morto per questa angosciosa pianura, e ora per riposo mi di' che io entri in questa fornace ardente”. E ragguardando costui, vide intorno alla fornace molti demoni con le forche di ferro in mano, con le quali costui, perché indugiava d'entrare, sospinsono dentro subitamente. Entrato che fu nella fornace, ragguarda e vide uno ch'era stato suo compare, il quale ardeva tutto quanto. E costui il domanda: “O compare sventurato, e come venisti tu qua?”. Ed egli risponde: “Va' un poco più innanzi e troverai la moglie mia, tua comare, la quale ti dirà la cagione della nostra dannazione”. Andando il frate più oltre, eccoti apparire la detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura di grano tutta di fuoco; ed egli la domanda: “O comare isventurata e misera, perché venisti tu in così crudele tormento”. Ed ella rispuose: “Imperò che al tempo della grande fame, la quale santo Francesco predisse dinanzi, il marito mio e io falsavamo il grano e la biada che noi vendevamo nella misura, e però io ardo stretta in questa misura”.

 

E dette queste parole, l'Agnolo che menava il frate sì lo sospinse fuore della fornace, e poi gli disse: “Apparecchiati a fare uno orribile viaggio, il quale tu hai a passare”. E costui rammaricandosi dicea: “O durissimo conduttore, il quale non m'hai nessuna compassione, tu vedi ch'io sono quasi tutto arso in questa fornace, e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso e orribile?”. E allora l'Agnolo il toccò, e fecelo sano e forte; poi il menò ad uno ponte, il quale non si potea passare sanza grande pericolo, imperò ch'egli era molto sottile e stretto e molto isdrucciolente e sanza sponde d'allato, e di sotto passava un fiume terribile, pieno di serpenti e di dragoni e di scarpioni, e gittava uno grandissimo puzzo. E dissegli l'Agnolo: “Passa questo ponte, e al tutto te lo conviene passare” Risponde costui: “E come lo potrò io passare, ch'io non caggia in quello pericoloso fiume?”. Dice l'Agnolo: “Vieni dopo me e poni il tuo piè dove tu vedrai ch'io porrò il mio, e così passerai bene” Passa questo frate dietro all'Agnolo, come gli avea insegnato, tanto che giunge a mezzo il ponte; ed essendo così in sul mezzo l'Agnolo si volò via e, partendosi da lui, se ne andò in su uno monte altissimo di là assai dal ponte. E costui considera bene il luogo dov'era volato l'Agnolo, ma rimanendo egli sanza guidatore e riguardando in giù vedea quegli animali tanto terribili istare con li capi fuori dell'acqua e con le bocche aperte, apparecchiati a divorarlo s'e' eadesse; ed era in tanto tremore, che per nessuno modo non sapea che si fare né che si dire, però che non potea tornare addietro né andare innanzi.

 

Onde veggendosi in tanta tribolazione e che non avea altro refugio che solo in Dio, sì si inchinò e abbracciò il ponte e con tutto il cuore e con lagrime si raccomanda a Dio, che per la sua santissima misericordia il dovesse soccorrere. E fatta l'orazione, gli parve cominciare a mettere ale; di che egli con grande allegrezza aspettava ch'elle crescessono per potere volare di là dal ponte dov'era volato l'Agnolo. Ma dopo alcuno tempo, per la grande voglia ch'egli avea di passare questo ponte, si mise a volare; e perché l'alie non gli erano tanto cresciute, egli cadde in sul ponte e le penne gli caddono: di che costui da capo abbraccia il ponte e come prima raccomandasi a Dio. E fatta l'orazione, e anche gli parve di mettere ale; ma come in prima non aspettò ch'elle crescessono perfettamente, onde mettendosi a volare innanzi tempo, ricadde dal capo in sul ponte, e le penne gli caddono. Per la qual cosa, veggendo che per la fretta ch'egli avea di volare innanzi al tempo cadeva, così incominciò a dire fra se medesimo: “Per certo che se io metto alie la terza volta, ch'io aspetterò tanto ch'elle saranno sì grandi ch'io potrò volare senza ricadere”. E stando in questi pensieri, ed egli Si vide la terza volta mettere ali; e aspetta grande tempo, tanto ch'ell'erano bene grandi; e pareali, per lo primo e secondo e terzo mettere ali, avere aspettato bene cento cinquanta anni o più. Alla perfine si lieva questa terza volta, con tutto il suo isforzo a volito, e volò insino al luogo dov'era volato l'Agnolo.

 

E bussando alla porta del palagio nel quale egli era, il portinaio il domanda: “Chi se' tu che se' venuto qua?”. Rispuose: “Io son frate Minore”. Dice il portinaio: “Aspettami ch'io sì ci voglio menare santo Francesco a vedere se ti conosce. Andando colui per santo Francesco, e questi comincia a sguardare le mura maravigliose di questo palagio; ed eccoti queste mura pareano tanto lucenti e di tanta chiarità, che vedea chiaramente li cori de' santi e ciò che dentro si faceva. E istando costui istupefatto in questo ragguardare, ecco venire santo Francesco e frate Bernardo e frate Egidio, e dopo santo Francesco tanta moltitudine di santi e di sante ch'aveano seguitato la via sua, che quasi pareano innumerabili. E giugnendo santo Francesco, disse al portinaio: “Lascialo entrare, imperò ch'egli è de' miei frati”.

 

E sì tosto come e' vi fu entrato, e' sentì tanta consolazione e tanta dolcezza, che egli dimenticò tutte le tribulazioni ch'avea avute, come mai non fussino state. E allora santo Francesco menandolo per dentro sì gli mostrò molte cose maravigliose, e poi sì gli disse: “Figliuolo, e' ti conviene ritornare al mondo e starai sette dì, ne' quali tu sì ti apparecchi diligentemente con grande divozione, imperò che dopo li sette dì, io verrò per te, e allora tu ne verrai meco a questo luogo di beati”. Ed era santo Francesco ammantato d'uno mantello maraviglioso, adornato di stelle bellissime, e le sue cinque stimate erano siccome cinque stelle bellissime e di tanto splendore, che tutto il palagio alluminavano con li loro raggi. E frate Bernardo avea in capo una corona di stelle bellissime, e frate Egidio era adornato di maraviglioso lume; e molti altri santi fra' tra loro conobbe, li quali al mondo non avea mai veduti. Licenziato dunque da santo Francesco, sì si ritornò, benché mal volentieri, a mondo.

 

Destandosi e ritornando in sé e risentendosi, li frati suonavano a Prima, sicché non era stato in quella se non da Mattutino a Prima benché a lui fusse paruto istare molti anni. E recitando al guardiano suo questa visione per ordine, infra li sette dì si incominciò a febbricitare, e l'ottavo di venne per lui santo Francesco, secondo la promessa, con grandissima moltitudine di gloriosi santi, e menonne l'anima sua al regno de' beati, a vita eterna.

 

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

 


La preghiera delle cinque dita

Papa Francesco quando era in Argentina scrisse una preghiera per insegnare a pregare.
Eccola:
Una preghiera per ogni dito della mano
1. Il pollice è il dito a te più vicino. Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono più vicini. Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è "un dolce obbligo".
2. Il dito successivo è l'indice. Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti. Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri la giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.
3. Il dito successivo è il più alto. Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti. Sono le persone che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l'opinione pubblica... Hanno bisogno della guida di Dio.
4. Il quarto dito è l'anulare. Lascerà molti sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. È lì per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di notte. Le preghiere per loro non saranno mai troppe. Ed è li per invitarci a pregare anche per le coppie sposate.
5. E per ultimo arriva il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo. Come dice la Bibbia, "gli ultimi saranno i primi". Il dito mignolo ti ricorda di pregare per te e tutti gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono le tue necessità guardandole dalla giusta prospettiva.


SAN BERNARDO ABATE

Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito santo. L'angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l'ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione.
Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati. Noi tutti fummo creati nel Verbo eterno di Dio, ma ora siamo soggetti alla morte: per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita.
Te ne supplica in pianto, Vergine pia, Adamo esule dal paradiso con la sua misera discendenza; te ne supplicano Abramo e David; te ne supplicano insistentemente i santi patriarchi che sono i tuoi antenati, i quali abitano anch'essi nella regione tenebrosa della morte. Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano.
O Vergine, da' presto la risposta. Rispondi sollecitamente all'angelo, anzi, attraverso l'angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna.
Perché tardi? perché temi? Credi all'opera del Signore, dà il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola. Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all'assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia, che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso.
«Ecco», dice, «sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto».

(Om. 4, 8-9; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54)


SANTA CECILIA

Oggi, 22 novembre, è Santa Cecilia. Vi rimando al sito "Santi e Beati" per la lettura di una breve ma esaustiva biografia della Santa.


DAI FIORETTI DI SAN FRANCESCO

CAPITOLO QUINDICESIMO. Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co' suoi compagni frati in Santa Maria degli Agnoli.

 

Santo Francesco, quando stava a Sciesi, ispesse volte visitava Santa Chiara dandole santi ammaestramenti. Ed avendo ella grandissimi desideri di mangiare una volta con lui, e di ciò pregandolo molte volte, egli non le volle mai fare questa consolazione. Onde vedendo li suoi compagni il desiderio di santa Chiara, dissono a santo Francesco: “Padre, a noi non pare che questa rigidità sia secondo la carità divina, che suora Chiara, vergine così santa, a Dio diletta tu non esaudisca in così piccola cosa, come è mangiare teco e spezialmente considerando ch'ella per le tue predicazioni abbandonò le ricchezze e le pompe del mondo. E di vero, s'ella ti domandasse maggiore grazia che questa non è, sì la doveresti fare alla tua pianta spirituale”. Allora santo Francesco rispuose: “Pare a voi ch'io la debba esaudire?”. Rispondono li compagni: “Padre, si degna cosa è che tu le faccia questa grazia e consolazione”. Disse allora santo Francesco: “Da poi che pare a voi, pare anche a me. Ma acciò ch'ella sia più consolata, io voglio che questo mangiare si faccia in Santa Maria degli Agnoli, imperò ch'ella è stata lungo tempo rinchiusa in santo Damiano, sicché le gioverà di vedere il luogo di santa Maria, dov'ella fu tonduta e fatta isposa di Gesù Cristo; ed ivi mangeremo insieme al nome di Dio”.

Venendo adunque il dì ordinato a ciò, santa Chiara escì del monistero con una compagna, accompagnata di compagni di santo Francesco, e venne a Santa Maria degli Agnoli. E salutata divotamente la Vergine Maria dinanzi al suo altare, dov'ella era stata tonduta e velata, sì la menorono vedendo il luogo, infino a tanto che fu ora da desinare. E in questo mezzo santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato di fare. E fatta l'ora di desinare si pongono a sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e uno delli compagni di santo Francesco e la compagna di santa Chiara, e poi tutti gli altri compagni s'acconciarono alla mensa umilmente. E per la prima vivanda santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì altamente, maravigliosamente, che discendendo sopra di loro l'abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti.

E stando così ratti con gli occhi e con le mani levate in cielo, gli uomini da Sciesi e da Bettona e que' della contrada dintorno, vedeano che Santa Maria degli Agnoli e tutto il luogo e la selva ch'era allora allato al luogo, ardeano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e 'l luogo e la selva insieme. Per la qual cosa gli Ascesani con gran fretta corsono laggiù per ispegnere il fuoco, credendo veramente ch'ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo Francesco con santa Chiara con tutta la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e sedere intorno a quella mensa umile. Di che essi certamente compresono che, quello era stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio avea fatto apparire miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco de divino amore, del quale ardeano le anime di questi santi frati e sante monache; onde si partirono con grande consolazione nel cuore loro e con santa edificazione.

Poi, dopo grande spazio tornando in sé santo Francesco e santa Chiara insieme con li altri, e sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale. E così compiuto quel benedetto disinare, santa Chiara bene accompagnata si ritornò a Santo Damiano. Di che le suore veggendola ebbono grande allegrezza; però ch'elle temeano che santo Francesco non l'avesse mandata a reggere qualche altro monisterio, siccome egli avea già mandata suora Agnese, santa sua sirocchia, abbadessa a reggere il monisterio di Monticelli di Firenze; e santo Francesco alcuna volta avea detto a santa Chiara: “Apparecchiati, se bisognasse ch'io ti mandassi in alcuno luogo”; ed ella come figliuola di santa obbidienza avea risposto: “Padre, io sono sempre apparecchiata ad andare dovunque voi mi manderete”. E però le suore sì si rallegrarono fortemente, quando la riebbono; e santa Chiara rimase d'allora innanzi molto consolata.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.


PLATONE

"È felice chi esercita la massima virtù civile, contribuendo con le sue capacità al benessere sociale". (da Repubblica)

"Felicità è innamorarsi della Bellezza e impegnarsi a generarne nuovi segni nel mondo." (dal Simposio)

 


ILDEGARDA DAY

Riporto dal sito del Palazzo di Sichelgaita questa notizia: "un gruppo di studenti dell’Università di Salerno ha deciso di mettere in piedi una specie di “Ildegarda Day”, ovvero una catena di iniziative in tutta Italia dedicata ad una delle donne più straordinarie del Medioevo, Ildegarda di Bingen. Nella specie, attraverso la richiesta alle reti nazionali e alla RAI in particolare, di doppiare in Italiano e trasmettere l’unico film mai dedicato a questa grande donna: Vision di Margarethe von Trotta (2009), largamente ignorato e tuttora inedito in lingua italiana." L'articolo continia con alcune preziose informazioni e riflessioni.


LA MISTICA SAPIENZA
Dall'opuscolo «Itinerario della mente a Dio» di san Bonaventura, vescovo


Cristo è la via e la porta. Cristo è la scala e il veicolo. È il propiziatorio collocato sopra l'arca di Dio (cfr. Es 26, 34). È «il mistero nascosto da secoli» (Ef 3, ). Chi si rivolge a questo propiziatorio con dedizione assoluta, e fissa lo sguardo sul crocifisso Signore mediante la fede, la speranza, la carità, la devozione, l'ammirazione, l'esultanza, la stima, la lode e il giubilo del cuore, fa con lui la Pasqua, cioè il passaggio [...].
Ma perché questo passaggio sia perfetto, è necessario che, sospesa l'attività intellettuale, ogni affetto del cuore sia integralmente trasformato e trasferito in Dio.
È questo un fatto mistico e straordinario che nessuno conosce se non chi lo riceve. Lo riceve solo chi lo desidera, non lo desidera se non colui che viene infiammato dal fuoco dello Spirito Santo, che Cristo ha portato in terra. Ecco perché l'Apostolo afferma che questa mistica sapienza è rivelata dallo Spirito Santo.
Se poi vuoi sapere come avvenga tutto ciò, interroga la grazia, non la scienza, il desiderio non l'intelletto, il sospiro della preghiera non la brama del leggere, lo sposo non il maestro, Dio non l'uomo, la caligine non la chiarezza, non la luce ma il fuoco che infiamma tutto l'essere e lo inabissa in Dio con la sua soavissima unzione e con gli affetti più ardenti.
Ora questo fuoco è Dio e questa fornace si trova nella santa Gerusalemme; ed è Cristo che li accende col calore della sua ardentissima passione. Lo può percepire solo colui che dice: L'anima mia ha preferito essere sospesa in croce e le mie ossa hanno prescelto la morte! (cfr. Gb 7, 15).


DALLA «REGOLA» DI SAN BENEDETTO
(Prologo 4-22; cap. 72, 1-12; CSEL 75, 2-5. 162-163) Non antepongano a Cristo assolutamente nulla

 

Prima di ogni altra cosa devi chiedere a Dio con insistenti preghiere che egli voglia condurre a termine le opere di bene da te incominciate, perché non debba rattristarsi delle nostre cattive azioni dopo che si è degnato di chiamarci ad essere suoi figli. In cambio dei suoi doni, gli dobbiamo obbedienza continua. Se non faremo così, egli, come padre sdegnato, sarà costretto a diseredare un giorno i suoi figli e, come signore tremendo, irritato per le nostre colpe, condannerà alla pena eterna quei malvagi che non l'hanno voluto seguire alla gloria.

Destiamoci, dunque, una buona volta al richiamo della Scrittura che dice: È tempo ormai di levarci dal sonno (cfr. Rm 13, 11). Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente la voce ammonitrice che Dio ci rivolge ogni giorno: «Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori» (Sal 94, 8). E ancora: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2, 7).

E che cosa dice? Venite, figli, ascoltate, vi insegnerò il timore del Signore. Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi sorprendano le tenebre della morte (cfr. Gv 12, 35).

Il Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice: C'è qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici? (cfr. Sal 33, 13). Se tu all'udire queste parole rispondi: Io lo voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino menzogna: fuggi il male e fa' il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal 33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Eccomi.

Che cosa vi è di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita.

Perciò, cinti i fianchi di fede e della pratica di opere buone, con la guida del vangelo, inoltriamoci nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati. Ma se vogliamo abitare nei padiglioni del suo regno, persuadiamoci che non ci potremo arrivare, se non affrettandoci con le buone opere.

Come vi è uno zelo cattivo e amaro che allontana da Dio e conduce all'inferno, così c'è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. In questo zelo i monaci devono esercitarsi con amore vivissimo; e perciò si prevengano l'un l'altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le infermità fisiche e morali degli altri, si prestino a gara obbedienza reciproca. Nessuno cerchi il proprio utile, ma piuttosto quello degli altri, amino i fratelli con puro affetto, temano Dio, vogliano bene al proprio abate con sincera e umile carità.

Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna.


PER CONOSCERE MEGLIO ILDEGARDA DI BINGEN

 

Gli amici del Palazzo di Sichelgaita hanno pubblicato un articolo che vale davvero la pena leggere e... vedere; sì, perché il sito rimanda alla puntata del 29 aprile 2014 di “Il Tempo e la Storia” di RaiTre.
Consiglio caldamente tutti di vederla (dura solo 45 minuti) perché – strano a dirsi – smonta alcuni dei più fastidiosi e falsi luoghi comuni sul Medioevo e sulla Chiesa.
Ho sempre avvertito un antipatico prurito nel pagare il Canone RAI, ma questa trasmissione mi ha fornito un validissimo unguento rinfrescante...


CONCERTO DI PRIMAVERA

 

L'Associazione Culturale Alessandro Galimberti di Lissone organizza per domenica 18 maggio, presso il Palazzo Terragni della cittadina (Piazza della Libertà), un concerto del pianista Andrea Mariani, una ormai consolidata promessa del pianismo internazionale.
Il programma della serata prevede il Preludio di Bach-Busoni “Nun komm, der Heiden Heiland”, la Sonata op. 109 n. 30 di Beethoven, lo Scherzo n. 1 op. 20 di Chopin, di Schumann la Sonata op. 22 n. 2, e per finire lo Studio da Concerto n. 1 “Il lamento” di Liszt. La locandina dell'evento è sul sito dell'Associazione.


QUASIMODO

 

Tutti ricorderanno il Gobbo di Notre-Dame, vuoi per il libro di Victor Hugo (Notre-Dame de Paris) - ambientato nella Parigi del XV secolo - vuoi per il cartoon di Walt Disney, vuoi per il musical di Cocciante; non tutti ricorderanno il suo nome, Quasimodo, pochi sanno l'origine di questo nome.
La risposta sta nell'Antifona d'Introitus (ingresso) della liturgia cattolica della seconda domenica di Pasqua, la Domenica in Albis, che un tempo veniva chiamata proprio "Domenica Quasi Modo"; l'antifona recita: "Come bambini appena nati, alleluia, come uomini spirituali bramate il latte vero, alleluia", che in latino suona: "Quasi modo geniti infantes, alleluia, rationabiles, sine dolo lac concupiscite, alleluia".
Frollo, l'arcidiacono di Parigi, nel romanzo di Hugo chiama il piccolo, abbandonato dai genitori zingari, proprio Quasimodo, "sia per rimarcare in quel modo il giorno del ritrovamento [sulle scale della Cattedrale proprio la II domenica di Pasqua, n.d.r.], sia che volesse indicare, con quel nome, a che punto la povera piccola creatura era incompleta ed appena sbozzata. In effetti, Quasimodo, guercio, gobbo e storto di gambe, non era molto più che un'approssimazione".

Ecco l'antifona gregoriana:

 


SCIENZA E FEDE

Franco ci propone questa breve lettura tratta da un testo di Enrico Medi, fisico e politico, per il quale è in corso una causa di beatificazione.
Considerata la bellezza della riflessione e il riferimento a san Francesco, siamo lieti di condividerla con tutti.

 

Ci trema il cuore al pensiero che questa materia, questi elettroni sono stati chiamati un giorno a formare il corpo del Figlio di Dio: mistero infinito di Amore. Corpo di Cristo adorato dagli angeli! C’è una misteriosità insondabile in questa materia. L’infinita Sapienza che riallaccia a sé il creato nell’ultimo anello della creazione. Forse questo sconfinato disegno di Carità fu presentato un giorno agli angeli: la superbia dominò l’amore e caddero nell’abisso; l’amore dominò nell’umiltà del Credo e ascesero alla visione di Dio.
Vengono le vertigini a pensare alla materia, Corpo di Gesù, a questa nostra materia, a questo nostro corpo che dovrà risorgere, come Lui il Risorto.
Se pensassimo agli elettroni o neutroni come tali non capiremmo nulla di tanto mistero; ma, nella considerazione di una forma sostanziale che riprende e unifica i diversi elementi di quello che fu il mio corpo uno, come seme sepolto dalla morte, per rigenerare il mio nuovo corpo, allora l’intelligenza pure smarrendosi, si nutre nel conforto della certezza che un giorno risorgerò. La Fede lo afferma, la scienza ne è illuminata.
E un inno sale gaudioso verso l’Infinito.

Santo Francesco che cantando pregavi:
Laudato sii mio Signore per sora acqua e frate foco,
aggiungi al cantico di tutte le Creature:
«Laudato sii mio Signore per frate elettrone,
protone, neutrone, positrone, neutrino, neutretto,
per le sorelle molecole, le galattiche, le nebulose spirali,
gli universi interi».
«Laudato sii mio Signore per la nostra misera carne, per la
nostra miseria implorante, che in Te, in un appassionato grido
d’amore, si getta sperando perché il Cristo, nostro fratello
nell’umana natura, è il tuo Figliuolo, Lui, la Resurrezione e la Vita».

Enrico Medi, Il Mondo come lo vedo io, Marietti Editore.


IL KALÒS CONCENTUS A S. EGIDIO IN FONTANELLA

Come è segnalato nella nostra pagina dei Concerti, il Kalòs Concentus venerdì prossimo, 11 aprile, proporrà "La Bellezza è lo Splendore del Vero" nella splendida Abbazia di s. Egidio in Fontanella, a Sotto il Monte Giovanni XXIII (BG), un evento organizzato dalla Pro Loco in occasione dei festeggiamenti per la canonizzazione del "Papa Buono", Giovanni XXIII.

Anche in questa occasione, è da sottolineare il meraviglioso connubio fra le Laudi medievali, le immagini di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova e il luogo, davvero suggestivo, per il quale vi rimandiamo al pieghevole pubblicato dalla Rettoria stessa di S. Egidio, che qui vi proponiamo.

 

S.Egidio in Fontanella


MEDIOEVO E JACA BOOK

Franco ci segnala questo sito che volentieri condividiamo con tutti gli amici: Medioevo Quante Storie, Un viaggio in libri tra realtà storica e finzione letteraria.


SINDONE: UN'IMMAGINE CHE SFIDA LA SCIENZA

La nostra pagina dei Concerti pubblica le locandine delle due serate dal titolo Sindone: un'immagine che sfida la scienza, nelle quali il Kalòs Concentus interverrà intercalando la presentazione del dott. Orfei con l'esecuzione di alcune Laudi duecentesche. Di questo evento ne abbiamo già parlato qui sotto, in occasione della serata a Lissone l'anno scorso. Ci preme ora ribadire la bellezza di questi momenti che per fortunata coincidenza cadono quest'anno in piena Quaresima, il 3 e il 12 aprile, in un periodo "forte" per il cristiano, chiamato a prepararsi ai misteri della Settimana Santa, misteri che stanno proprio all'origine del culto della Sacra Sindone.

Prendo l'occasione per suggerire di andare a leggere un articolo della "Nuova Bussola Quotidiana" del 27 febbraio scorso, nel quale il prof. Giulio Fanti - Professore associato di Misure Meccaniche e Termiche presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova - intervistato da Lorenzo Bertocchi, ci conferma che l'epoca della Sindone è proprio il I secolo, confutando scientificamente l'esito delle analisi del 1988 con le quali si decretò erroneamente una sua origine medievale.

Vi invitiamo quindi a partecipare il 3 aprile a Paina, o il 12 alla Bareggia di Lissone; il Kalòs, nell'occasione, eseguirà le seguenti Laudi:

Iesù Cristo glorïoso (Laudario di Cortona, n. 27)
Plangiamo quel crudel basciare (Laudario di Cortona, n. 22)
De la crudel morte del Cristo / ogn'hom pianga amaramente! (Laudario di Cortona, n. 24)
Onne homo ad alta voce / laudi la verace croce! (Laudario di Cortona, n. 26)
Voi ch’amate lo Criatore, / ponete mente allo meo dolore (Laudario Magliabechiano, n. 15)
Spiritu sancto, dolçe amore (Laudario di Cortona, n. 29)


SAN ROBERT SOUTHWELL E STING

 

Riporto da Cathopedia (Licenza Creative Commons)

San Roberto Southwell (Robert) (Horsham Saint Faith, Inghilterra, 1561; † Tyburn, Londra, 21 febbraio 1595) è stato un presbitero, gesuita e martire inglese. È uno dei Santi quaranta martiri di Inghilterra e Galles canonizzati da Paolo VI nel 1970.

Nacque verso la fine del 1561, ultimo di otto figli in una famiglia aristocratica del Norfolk. Il padre di tradizione cattolica si era convertito all'anglicanesimo e sotto re Enrico VIII si era arricchito con la dissoluzione degli istituti religiosi in Inghilterra. Roberto fu inviato a quindici anni a perfezionare la sua formazione nel Collegio degli inglesi a Douai in Olanda. Sin da giovane attratto dalla vita religiosa, in quell'ambiente ebbe modo di conoscere molti giovani inglesi che si preparavano al sacerdozio per rientrare in Inghilterra. Fu anche orientato alla vita missionaria nelle Indie, ma anche attratto dalla vita contemplativa dei certosini.

Dopo un breve periodo di permanenza nel collegio olandese divenuto meno sicuro, si trasferì nel Collegio gesuita di Clermont a Parigi. Qui ebbe come sua guida spirituale il giovane padre Thomas Darbyshire. Fece amicizia col fiammingo Jan Deckers e assieme decisero di entrare nella Compagnia di Gesù agli inizi del 1578 a Parigi, ma furono rifiutati. Roberto, deluso, si recò allora a piedi a Roma per inoltrare la sua domanda di adesione direttamente presso il Superiore Generale dei gesuiti. Domanda che venne accolta e poté quindi iniziare il suo noviziato nel Collegio presso la Chiesa di Sant'Andrea al Quirinale il 17 ottobre del 1578, terminato il noviziato completò i suoi studi nel Collegio Romano.

Parallelamente ai suoi studi fu tutore presso il Collegio degli inglesi di Roma che la Compagnia di Gesù aveva appena aperto nel 1579. Quando Roberto Persons, mancando uomini per la pericolosa missione in Inghilterra, chiese che il giovane Southwell gli venisse inviato, il Generale Claudio Acquaviva rifiutò ritenendo Southwell ancora troppo giovane ed inesperto per questa missione, inoltre non aveva ancora completato i suoi studi e il seminario inglese a Roma aveva bisogno di lui.

Roberto fu ordinato sacerdote a Roma nel 1584, e li vi rimase ancora due anni come prefetto nel Collegio degli inglesi. Nel 1586 su sua richiesta fu mandato in missione nella sua patria.

Nel 1584 in Inghilterra fu introdotta una legge che minacciava di morte i sacerdoti cattolici che rientravano in patria e vi soggiornavano per più di quaranta giorni. Questa legge non scoraggiò il giovane gesuita che sbarcò nella sua patria natale il 7 luglio del 1586, in compagnia di Tommaso Garnet. Due giorni dopo erano nella capitale, calorosamente accolti dalla comunità cattolica locale che temeva di essere stata abbandonata dai Gesuiti; infatti, da poco, era stato arrestato il superiore dell'ordine William Weston e Garnet lo sostituì immediatamente.

Iniziò per i due sacerdoti gesuiti un periodo di attività clandestina nel paese. Garnet si mosse nel paese mentre Southwell restò prevalentemente a Londra e nei dintorni, riuscendo persino a contattare cattolici prigionieri. Inviò molti seminaristi sul continente e ricevette nella clandestinità altri sacerdoti per la pastorale. Nei due anni seguenti cambiò nome a più riprese trovando rifugio presso Ann Howard la cui madre era in prigione. Le lettere di Southwell al conte Filippo Howard, accusato di tradimento e prigioniero nella Torre di Londra, furono ricopiate e circolarono presso i cattolici clandestinamente, queste lettere furono da base per il libro Epistle of Comfort.

Southwell fu una buona penna, i suoi scritti e poemi, spesso ricopiati, circolarono anonimi nel mondo clandestino cattolico. Pur essendo anonimi essi esercitarono una certa influenza sulla letteratura inglese del tempo, in alcuni casi furono anche stampati. Con le sue meditazioni religiose dagli accenti poetici e lirici si introdusse un genere letterario nuovo, spesso imitato dopo la sua morte.

Il suo talento letterario evidente, le sue origini aristocratiche e la sua colta e distinta personalità, fecero di padre Southwell, nonostante la clandestinità, un uomo di grande popolarità. Gli agenti del governo cercarono di catturarlo con ogni mezzo, ma per sei anni egli riuscì ad eluderne le ricerche, divenendo nel paese una leggenda vivente.

Nel 1592 fu catturato dal cacciatore di preti Richard Topcliffe presso la famiglia Bellamy nei sobborghi di Londra. Fu imprigionato nella Torre di Londra dove subì per molte settimane molte torture. Le torture erano così crudeli da indurre il padre di Roberto a inoltrare una petizione presso la regina Elisabetta I, dove chiedeva la cessazione di questi suplizi e un processo immediato.

Padre Southwell passò tre anni in galera, subì dieci sedute di tortura, senza che mai rivelasse i nomi dei suoi complici. Fu poi trasferito nelle prigioni di Newgate per il processo, dove Roberto ammise di essere sacerdote cattolico, ma che non pensò mai di organizzare complotti contro la regina e che non vi ebbe nemmeno partecipato e che egli fu inviato da Roma nel suo paese al solo scopo di amministrare i sacramenti a chi ne faceva richiesta. Non fu creduto e fu condannato a morte il 20 febbraio del 1595.

Venne impiccato a Tyburn Hill il giorno seguente. Sul patibolo si fece il segno della croce e recitò un passaggio della lettera di san Paolo ai romani. Avuto il permesso di parlare alla folla confermò di essere un prete gesuita e pregò per la salute della regina e del suo paese. Le sue ultime parole furono in manus tuas, Domine... Quando il suo corpo cadde nella botola nessuno della folla gridò traditore, come normalmente accadeva durante queste esecuzioni.

 

Ma in tutto ciò, Sting cosa centra? Un articolo del Timone del 19 marzo propone un video di Sting che canta una lirica di San Robert, The Burning Babe, musicata dal cantante folk Chris Wood (non quello dei Traffic...). Inutile aggiungere altro: l'articolo propone anche il testo del prete-poeta e una breve riflessione. La Bellezza ancora una volta trionfa sulla Morte e sul Male.


SAN DOMENICO, I SUOI FRATI E IL DEMONIO

 

Il Chiostro dei Marescialli è in realtà il Chiostro Grande di Santa Maria Novella, a Firenze. È così chiamato perché dal 1920 fa parte della Scuola Marescialli e Brigadieri Carabinieri. Nel 1966 l'alluvione di Firenze, quando l'acqua dell’Arno arrivò a circa un metro di altezza – una targa su un muro ricorda ancora quel livello – ne danneggiò gli splendidi affreschi. I restauri sono stati completati solo in parte, dove si trovano le pitture dei maestri più importanti, mentre vengono gradualmente completati gli altri con un lavoro tuttora in corso.

Ogni tanto il Chiostro viene aperto alla visita del pubblico che numeroso visita il Convento di Santa Maria Novella, e a noi è capitata la fortuna di visitare la Basilica fiorentina proprio in un giorno di questi.

Le 56 arcate a tutto sesto del Chiostro fanno da cornice a una sessantina di lunette affrescate alla fine del XVI secolo da pittori allora famosi, come Bernardino Poccetti, Alessandro Allori, Santi di Tito, Cosimo Gamberucci, Simone da Poggibonsi ed altri; i temi degli affreschi sono fondamentalmente due: la storia di Cristo e le storie di San Domenico, dato che il convento fu sede dell’ordine dei domenicani (del complesso fa parte anche il famoso Capellone degli Spagnoli affrescato da Andrea di Buonaiuto di cui parlo qui sotto).

Fra questi affreschi, uno in particolare mi ha colpito (e divertito): si tratta di un’opera di Simone da Poggibonsi e rappresenta San Domenico che conduce a forza il Demonio nel Capitolo dei Frati.

 

 

Oibò! e perché? Un cartiglio sovrastante l’affresco ci racconta che: “San Domenico conduce il Demonio in Capitolo dove i difetti dei frati si correggono e lo fa confessare quivi perdere quanto nel chiostro, nel dormentorio et in Chiesa guadagnato haveva.”

 

 

In altre parole, contrariamente a quanto si possa pensare, il Demonio trova terreno fertile per le sue malefatte anche nelle sacre mura dei conventi, nei chiostri, nei refettori e persino in Chiesa: ma la misericordia di Dio – con l’aiuto del Santo – riguadagna al Paradiso quanto il Demonio aveva accantonato per l’Inferno.

Una storia senza confini temporali né di spazio, evidentemente...


GERARD MANLEY HOPKINS (Londra 28 luglio 1844 – Dublino 8 giugno 1889)

Don Giancarlo Gambasin ci ha inviato due poesie di Gerard Manley Hopkins, un gesuita e poeta britannico del XIX secolo che volentieri pubblichiamo sul nostro sito, con i migliori auguri di buon anno a tutti i nostri lettori.

 

BELLEZZA VARIEGATA

Sia gloria a Dio per le cose screziate,
Per i cieli di vario colore come le mucche chiazzate,
Per le macchie rosa punteggiate sulla trota che nuota;
Per le castagne fresche cadute come brace accesa, per le ali dei fringuelli;
Per i paesaggi divisi e pezzati, chiuso, maggese e campo arato;
E tutte le arti e gli arnesi.

Tutte le cose a contrasto, originali, sobrie, strane;
Tutto ciò che è mutevole e - chi sa come - maculato:
Veloce, lento; dolce, aspro; vivido e opaco;
Genera senza tregua Colui, la cui bellezza è inimitabile.
Lode a Lui.

 

LA NOTTE STELLATA

Guardate alle stelle! guardate, guardate in alto nel cielo!
Oh, guardate al popolo di fuoco che siede nell’aria!
Luminosi distretti e cerchi di cittadelle, da lassù!
Sotto oscuri boschi cavità di diamante! gli occhi degli elfi!
I grigi prati, freddi, dove oro, oro vivo splende!
Sorbi battuti dal vento! eterei pioppi messi su un bagliore!
Fiocchi di colombe mandate avanti a flottare nello spauracchio dell’aia! –
Oh, meraviglia! Tutto è un acquisto, tutto è un premio.

Comprate, allora! offrite, dunque!
– Cosa? – Preghiera, pazienza, elemosina, voti.
Guardate, guardate: una mensa di maggio, come su rami di frutteto!
Guardate! una fiorita di marzo, come sfarinata di salici gialli!
Questi sono davvero i granai; entro le mura di casa
l’esplosione. Questo recinto scintillante racchiude la dimora
di Cristo-sposo, Cristo e sua madre e tutti i suoi santi.

 

(da Poesie e prose scelte, Editrice Guanda)

 


Viboldone

Sul sito della Nuova Bussola Quotidiana, vi segnalo un piccolo ma prezioso articolo sull'Abbazia di Viboldone, alle porte di Milano. Una visita va assolutamente programmata in questo periodo natalizio, non ultimo per i bellissimi affreschi di Giusto de' Menabuoi, che ricordano molto quelli di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova.

 


Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo
(Sal 32, Disc. 1, 7-8; CCL 38, 253-254)


«Lodate il Signore con la cetra, con l'arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo!» (Sal 32, 2.3). Spogliatevi di ciò che è vecchio ormai; avete conosciuto il nuovo canto. Un uomo nuovo, un testamento nuovo, un canto nuovo. Il nuovo canto non si addice ad uomini vecchi. Non lo imparano se non gli uomini nuovi, uomini rinnovati, per mezzo della grazia, da ciò che era vecchio, uomini appartenenti ormai al nuovo testamento, che è il regno dei cieli. Tutto il nostro amore ad esso sospira e canta un canto nuovo. Elevi però un canto nuovo non con la lingua, ma con la vita.
Cantate a lui un canto nuovo, cantate a lui con arte (cfr. Sal 32, 3). Ciascuno si domanda come cantare a Dio. Devi cantare a lui, ma non in modo stonato. Non vuole che siano offese le sue orecchie. Cantate con arte, o fratelli. Quando, davanti a un buon intenditore di musica, ti si dice: canta in modo da piacergli; tu, privo di preparazione nell'arte musicale, vieni preso da trepidazione nel cantare, perché non vorresti dispiacere al musicista; infatti quello che sfugge al profano, viene notato e criticato da un intenditore dell'arte. Orbene, chi oserebbe presentarsi a cantare con arte a Dio, che sa ben giudicare il cantore, che esamina con esattezza ogni cosa e che tutto ascolta così bene? Come potresti mostrare un'abilità così perfetta nel canto, da non offendere in nulla orecchie così perfette?
Ecco egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca della parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalla parole dei canti, ma, in seguito, quando l'emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in sola modulazione di note. Questo canto lo chiamiamo «giubilo».
Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l'ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d'altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non «giubilare»? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo (cfr. Sal 32, 3).


Santa Elisabetta d'Ungheria

Dalla «Lettera» scritta da Corrado di Marburgo, direttore spirituale di santa Elisabetta

Elisabetta incominciò presto a distinguersi in virtù e santità di vita. Ella aveva sempre consolato i poveri, ma da quando fece costruire un ospedale presso un suo castello, e vi raccolse malati di ogni genere, da allora si dedicò interamente alla cura dei bisognosi. Distribuiva con larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori dipendenti da suo marito. Arrivò al punto da erogare in beneficenza i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti di valore e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri. Aveva preso l'abitudine di visitare tutti i suoi malati personalmente, due volte al giorno, al mattino e alla sera. Si prese cura diretta dei più ripugnanti. Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre in ogni attività di bene, senza mettersi tuttavia per questo in contrasto con suo marito.
Dopo la morte di lui, tendendo alla più alta perfezione, mi domandò con molte lacrime che le permettessi di chiedere l'elemosina di porta in porta. Un Venerdì santo, quando gli altari sono spogli, poste la mani sull'altare in una cappella del suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte le vanità del mondo e a tutto quello che nel vangelo il Salvatore ha consigliato di lasciare. Fatto questo, temendo di poter essere riassorbita dal rumore del mondo e dalla gloria umana, se rimaneva nei luoghi in cui era vissuta insieme al marito e in cui era tanto ben voluta e stimata, volle seguirmi a Marburgo, sebbene io non volessi. Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati e gli invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili ed i più derelitti. Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività. Alcuni religiosi e religiose constatarono assai spesso che, quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei raggi di sole.
Prima della morte ne ascoltai la confessione e le domandai cosa di dovesse fare dei suoi averi e delle suppellettili. Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà era tutto dei poveri e mi pregò di distribuire loro ogni cosa, eccetto una tunica di nessun valore di cui era rivestita, e nella quale volle esser seppellita. Fatto questo, ricevette il Corpo del Signore. Poi, fino a sera, spesso ritornava su tutte le cose belle che aveva sentito nella predicazione. Infine raccomandò a Dio, con grandissima devozione, tutti coloro che le stavano dintorno, e spirò come addormentandosi dolcemente.(Al pontefice, anno 1232; A. Wyss, Hessisches Urkundenbuch I, Lipsia 1879, 31-35)

 

 

Regine, comitisse, illustres domine
Potentes et ancille, iuvenes parvule,
Virgines et antique pariter vidue
Conscendunt et hunc montem et religiose.

(Regine, contesse, donne illustri,
padrone e domestiche, bambini piccoli,
vergini e vecchie donne, ed anche vedove
e religiose, salgono su questo monte.)

da Stella splendens in monte (Llibre Vermell)

 

Figlia di Andrea, re d'Ungheria e di Gertrude, nobildonna di Merano, ebbe una vita breve. Nata nel 1207, fu promessa in moglie a Ludovico figlio ed erede del sovrano di Turingia. Sposa a quattordici anni, madre a quindici, restò vedova a 20. Il marito, Ludovico IV morì ad Otranto in attesa di imbarcarsi con Federico II per la crociata in Terra Santa. Elisabetta aveva tre figli. Dopo il primogenito Ermanno vennero al mondo due bambine: Sofia e Gertrude, quest'ultima data alla luce già orfana di padre. Alla morte del marito, Elisabetta si ritirò a Eisenach, poi nel castello di Pottenstein per scegliere infine come dimora una modesta casa di Marburgo dove fece edificare a proprie spese un ospedale, riducendosi in povertà. Iscrittasi al terz'ordine francescano, offrì tutta se stessa agli ultimi, visitando gli ammalati due volte al giorno, facendosi mendicante e attribuendosi sempre le mansioni più umili. La sua scelta di povertà scatenò la rabbia dei cognati che arrivarono a privarla dei figli. Morì a Marburgo, in Germania il 17 novembre 1231. È stata canonizzata da papa Gregorio IX nel 1235. (da Avvenire)


Hans Urs von Balthasar sulla Bellezza (da La percezione della forma, 1985)
"In un mondo senza bellezza [...], in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l'evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l'uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male."


Il volto del Risorto - Mostra-Incontro

 

 

L'Associazione Galimberti di Lissone in collaborazione con il Circolo Culturale don Ettore Passamonti di Biassono propone la mostra-incontro "Il Volto del Risorto", un'esposizione di 30 pannelli raffiguranti 80 opere e icone dei maggiori artisti dal ‘200 al ‘600 che raffigurano il Volto di Gesù. Chi volesse maggiori informazioni può trovarle sul sito del Circolo Culturale, sotto la voce "Mostre".

 


Dal "Primo Commonitorio" di san Vincenzo di Lérins, sacerdote

Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande.
Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto. La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l’andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l’età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.
Le membra del lattante sono piccole, più grandi invece quelle del giovane. Però sono le stesse. Le membra dell’uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell’embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.
Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico. Questo è l’ordine meraviglioso disposto dalla natura per ogni crescita. Nell’età matura si dispiega e si sviluppa in forme sempre più ampie tutto quello che la sapienza del creatore aveva formato in antecedenza nel corpicciuolo del piccolo. Se coll’andar del tempo la specie umana si cambiasse talmente da avere una struttura diversa oppure si arricchisse di qualche membro oltre a quelli ordinari di prima, oppure ne perdesse qualcuno, ne verrebbe di conseguenza che tutto l’organismo ne risulterebbe profondamente alterato o menomato. In ogni caso non sarebbe più lo stesso.
Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. È necessario però che resti sempre assolutamente
intatto e inalterato.
I nostri antenati hanno seminato già dai primi tempi nel campo della Chiesa il seme della fede. Sarebbe assurdo e incredibile che noi, loro figli, invece della genuina verità del frumento, raccogliessimo il frutto della frode cioè dell’errore della zizzania.
È anzi giusto e del tutto logico escludere ogni contraddizione tra il prima e il dopo. Noi mietiamo quello stesso frumento di verità che fu seminato e che crebbe fino alla maturazione. Poiché dunque c’è qualcosa della primitiva seminagione che può ancora svilupparsi con l’andar del tempo, anche oggi essa può essere oggetto di felice e fruttuosa coltivazione.

 

È strabiliante l'attualità di questo testo, oggi, nonostante sia stato scritto circa 1500 anni fa. Era il V secolo e un semplice sacerdote - la cui vita ci è quasi del tutto sconosciuta - scriveva questa splendida pagina sulla Chiesa e la natura della sua dottrina. Chi volesse approfondire la conoscenza di san Vincenzo di Lérins, può trovare utili informazioni nella relativa pagina di Cathopedia.


Si avvicina la ricorrenza di San Francesco d’Assisi, Santo che è particolarmente caro a tutti noi, essendo l’autore della prima lauda conosciuta, il Cantico delle Creature, ed anche perché qualcuno del Kalòs ne porta, indegnamente, il nome…

Ho quindi riletto i Fioretti di San Francesco e mi è parso particolarmente bello questo che allego, che mostra il Santo recarsi in pellegrinaggio a Santiago de Compostela.


Come l'agnolo di Dio propuose una quistione a frat'Elia guardiano d'uno luogo di Val di Spoleto; e perché frat'Elia li rispuose superbiosamente si partì e andonne in cammino di santo Jacopo, dove trovò frate Bernardo e dissegli questa storia.

Al principio e fondamento dell'Ordine, quando erano pochi frati e non erano ancora presi i luoghi, santo Francesco per sua divozione andò a santo Jacopo di Galizia, e menò seco alquanti frati, fra li quali fu l'uno frate Bernardo. E andando così insieme per lo cammino, trovò in una terra un poverello infermo, al quale avendo compassione, disse a frate Bernardo: “Figliuolo, io voglio che tu rimanghi qui a servire a questo infermo”. E frate Bernardo, umilmente inginocchiandosi e inchinando il capo, ricevette la obbidienza del padre santo e rimase in quel luogo; e santo Francesco con gli altri compagni andarono a santo Jacopo. Essendo giunti là. e stando la notte in orazione nella chiesa di santo Jacopo, fu da Dio rivelato a santo Francesco ch'egli dovea prendere di molti luoghi per lo mondo, imperò che l'Ordine suo si dovea ampliare e crescere in grande moltitudine di frati. E in cotesta rivelazione cominciò santo Francesco a prendere luoghi in quelle contrade. E ritornando santo Francesco per la via di prima, ritrovò frate Bernardo, e lo infermo, con cui l'avea lasciato. perfettamente guarito; onde santo Francesco concedette l'anno seguente a frate Bernardo ch'egli andasse a santo Jacopo.

E così santo Francesco si ritornò nella Valle di Spuleto, e istavasi in uno luogo diserto egli e frate Masseo e frat'Elia e alcuni altri, i quali tutti si guardavano molto di noiare o storpiare santo Francesco della orazione, e ciò faceano per la grande reverenza che gli portavano e perché sapeano che Iddio gli rivelava grandi cose nelle sue orazioni. Avvenne un dì che, essendo santo Francesco in orazione nella selva, un giovane bello, apparecchiato a camminare venne alla porta del luogo, e picchiò sì in fretta e forte e per sì grande spazio, che i frati molto se ne maravigliarono di così disusato modo di picchiare. Andò frate Masseo e aperse la porta e disse a quello giovane: “Onde vieni tu, figliuolo, che non pare che tu ci fossi mai più, sì hai picchiato disusatamente?”. Rispuose il giovane: “E come si dee picchiare?”. Disse frate Masseo: “Picchia tre volte l'una dopo l'altra, di rado, poi t'aspetta tanto che 'l frate abbia detto il paternostro e vegna a te, e se in questo intervallo non viene, picchia un'altra volta”. Rispuose il giovane: “Io ho gran fretta, e però picchio così forte, perciò ch'io ho a fare lungo viaggio, e qua son venuto per parlare a frate Francesco, ma egli sta ora nella selva in contemplazione, e però non lo voglio storpiare ma va', e mandami frat'Elia, che gli vo' fare una quistione, però ch'io intendo ch'egli è molto savio”. Va frate Masseo, e dice a frat'Elia che vada a quello giovane. E frat'Elia se ne iscandalizza e non vi vuole andare; di che frate Masseo non sa che si fare, né che si rispondere a colui; imperò che se dicesse: frate Elia non può venire, mentiva; se dicea come era turbato e non vuol venire, si temea di dargli male esempio. E però che intanto frate Masseo penava a tornare, il giovane picchiò un'altra volta come in prima; e poco stante tornò frate Masseo alla porta e disse al giovine: “Tu non hai osservato la mia dottrina nel picchiare”. Rispuose il giovane: “Frate Elia non vuole venire a me; ma va' e di' a frate Francesco ch'io son venuto per parlare con lui; ma però ch'io non voglio impedire lui della orazione, digli che mandi a me frat'Elia”. E allora frate Masseo, n'andò a santo Francesco il quale orava nella selva colla faccia levata al cielo, e dissegli tutta la imbasciata del giovane e la risposta di frat'Elia. E quel giovane era l'Agnolo di Dio in forma umana. Allora santo Francesco, non mutandosi del luogo né abbassando la faccia, disse a frate Masseo: “Va' e di' a frat'Elia che per obbidienza immantanente vada a quello giovane”. Udendo frat'Elia l'ubbidienza di santo Francesco, andò alla porta molto turbato, e con grande empito e romore gli aperse e disse al giovane: “Che vuo' tu?”. Rispuose il giovane: “Guarda, frate, che tu non sia turbato, come pari, però che l'ira impedisce l'animo e non lascia discernere il vero”. Disse frat'Elia: “Dimmi quello che tu vuoi da me”. Rispuose il giovane: “Io ti domando, se agli osservatori del santo Vangelo è licito di mangiare di ciò che gli è posto innanzi, secondo che Cristo disse a' suoi discepoli. E domandoti ancora, se a nessuno uomo è lecito di porre dinanzi alcuna cosa contraria alla libertà evangelica”. Rispuose frat'Elia superbamente: “Io so bene questo, ma non ti voglio rispondere: va' per li fatti tuoi”. Disse il giovane: “Io saprei meglio rispondere a questa quistione che tu”. Allora frat'Elia turbato e con furia chiuse l'uscio e partissi. Poi cominciò a pensare della detta quistione e dubitarne fra sé medesimo; e non la sapea solvere. Imperò ch'egli era Vicario dell'Ordine, e avea ordinato e fatto costituzione, oltr'al Vangelo ed oltr'alla Regola di santo Francesco, che nessuno frate nell'Ordine mangiasse carne; sicché la detta quistione era espressamente contra di lui. Di che non sapendo dichiarare se medesimo, e considerando la modestia del giovane e che gli avea detto ch'e' saprebbe rispondere a quella quistione meglio di lui, ritorna alla porta e aprilla per domandare il giovane della predetta quistione, ma egli s'era già partito; imperò che la superbia di frat'Elia non era degna di parlare con l'Agnolo. Fatto questo, santo Francesco, al quale ogni cosa da Dio era stata rivelata, tornò dalla selva, e fortemente con alte voci riprese frat'Elia, dicendo: “Male fate, frat'Elia superbo, che cacciate da noi gli Agnoli santi, li quali ci vengono ammaestrare; io ti dico ch'io temo forte che la tua superbia non ti faccia finire fuori di quest'Ordine”. E così gli addivenne poi, come santo Francesco gli predisse, però che e' morì fuori dell'Ordine.

Il dì medesimo, in quell'ora che quello Agnolo si partì, si apparì egli in quella medesima forma a frate Bernardo, il quale tornava da santo Jacopo ed era alla riva d'un grande fiume; e salutollo in suo linguaggio dicendo: “Iddio ti dia pace, o buono frate”. E maravigliandosi forte il buono frate Bernardo e considerando la bellezza del giovane e la loquela della sua patria, colla salutazione pacifica e colla faccia lieta sì 'l dimandò: “Donde vieni tu, buono giovane?”. Rispuose l'Agnolo: “Io vengo di cotale luogo dove dimora santo Francesco, e andai per parlare con lui e non ho potuto però ch'egli era nella selva a contemplare le cose divine, e io non l'ho voluto storpiare. E in quel luogo dimorano frate Masseo e frate Egidio e frat'Elia; e frate Masseo m'ha insegnato picchiare la porta a modo di frate. Ma frat'Elia, però che non mi volle rispondere della quistione ch'io gli propuosi, poi se ne pentì; e volle udirmi e vedermi, e non potè”. Dopo queste parole disse l'Agnolo a frate Bernardo: “Perchè non passi tu di là?”. Rispuose frate Bernardo: “Però ch'io temo del pericolo per la profondità dell'acqua ch'io veggio”. Disse l'Agnolo: “Passiamo insieme; non dubitare”. E prese la sua mano, e in uno batter d'occhio il puose dall'altra parte del fiume. Allora frate Bernardo conobbe ch'egli era l'Agnolo di Dio, e con grande reverenza e gaudio ad alta voce disse: “O Agnolo benedetto di Dio, dimmi qual è il nome tuo”. Rispuose l'Agnolo: “Perché domandi tu del nome mio, il quale è maraviglioso?”. E detto questo, l'Agnolo disparve e lasciò frate Bernardo molto consolato, in tanto che tutto quel cammino e' fece con allegrezza. E considerò il dì e l'ora che l'Agnolo gli era apparito; e giungendo al luogo dove era santo Francesco con li predetti compagni, recitò loro ordinatamente ogni cosa. E conobbono certamente che quel medesimo Agnolo, in quel dì e in quell'ora, era apparito a loro e a lui. E ringraziarono Iddio.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

 

Fonte consultata per il testo: http://www.liberliber.it/

 

(Franco)

 


La Bellezza è lo splendore del Vero. È il titolo del concerto - organizzato dalla Biblioteca di Cabiate - che il 14 settembre 2013 il Kalòs Concentus eseguirà nel Santuario di Santa Maria Annunciata. Leggiamo dal programma di sala:

"È la storia di un incontro fra due sensi, la vista e l'udito, fra la narrazione visiva e quella testo-musicale, fra pittura e musica: più precisamente fra Giotto e la Lauda. Entrambi sono espressione di uno dei periodi più belli della nostra storia, gli anni a cavallo fra i secoli XIII e XIV.
La pittura sacra, nel Medioevo, aveva anche la funzione di istruire il popolo che – non sapendo spesso né leggere né scrivere e non comprendendo appieno la lingua ecclesiastica, il latino – aveva una limitata conoscenza di quanto narrano i vangeli e i testi sacri; e la musica, uscendo dalle navate delle cattedrali, cominciava a utilizzare l’idioma volgare adornato di fresche melodie, ritmi di danza e splendidi strumenti musicali, tutte cose in comune più con le ballate popolari che non con il canto liturgico. Nacque così la Lauda, che ebbe nel Cantico delle creature di San Francesco la prima espressione, il suo battesimo.
Vi è un filo invisibile ma forte che collega le Laudi a Giotto, sembra che dietro queste due produzioni artistiche vi sia un’unica regia: la capacità descrittiva, l’attenzione per i dettagli, la tenerezza dei sentimenti, la bellezza dei volti, la paura, la gioia, l’umiltà, la disperazione, la nascita e la morte, ogni cosa narrata da Giotto trova nella musica delle Laudi la sua giusta colonna sonora."

Il Kalòs sarà supportato nella proiezione da Giovanni Lonoce, che ha approntato il filmato delle immagini giottesche in perfetta sintonia con i testi delle Laudi.


Dalle Confessioni di Sant'Agostino, vescovo

O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. [...] Così la tua Sapienza, per mezzo della quale hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da bambini. Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l'ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.


Santa Messa su Radio Maria. Domenica 25 agosto, alle h 10,30, la Santa Messa solenne dell'Abbazia dei Monaci Benedettini di Seregno sarà trasmessa su Radio Maria. Il rito sarà - come ogni domenica - animato dalla schola di canto gregoriano dell'Abbazia. All'ingresso l'Antifona Inclina, Domine, aurem tuam ad me, di cui vi proponiamo qui di seguito la trascrizione.

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Cantare in coro? Come lo yoga fa vivere (e respirare) meglio

Marco ci segnala questo articolo sulla Stampa. Abbiamo sempre intuito l'utilità fisiologica, oltre che psicologica ed educativa, che ha il cantare insieme. Ma anche suonare insieme offre simili vantaggi (chi insegna musica vive e lavora su questa certezza): l'articolista parla solo della tradizione corale in Inghilterra, ma non dice che in quel paese il sistema educativo propone lo studio di uno strumento musicale (non tanto e solo il flauto dolce, bensì veri strumenti orchestrali) già nei primi anni della scolarizzazione. Non così, ahimè, in Italia.


Andrea di Buonaiuto: Via Veritas, Chiesa militante e trionfante
il Cappellone degli Spagnoli (Allegoria della Chiesa)

 

 

Andrea di Buonaiuto visse e operò a Firenze nella seconda metà del XIV sec.; nella sua città affrescò la Sala Capitolare della Chiesa di Santa Maria Novella, poi chiamata Cappellone degli Spagnoli. L'opera è grandiosa, due pareti intere della sala presentano affreschi che narrano soprattutto le virtù e le opere di San Domenico e dei santi domenicani, San Tommaso d'Aquino su tutti, ma anche San Pietro da Verona (di cui parliamo brevemente in fondo a questa pagina).

La chiesa raffigurata è Santa Maria del Fiore, che curiosamente a quell'epoca non aveva ancora la grande cupola, ma evidentemente il progetto era già stato definito. Sopra, fino all'apice della volta, dove vi è il Cristo in trono, c'è il Paradiso, con le anime buone incoronate da San Pietro che vi entrano aiutate da San Domenico che indica loro la via, dopo che un altro domenicano, seduto, ha impartito loro la confessione. Sotto alla Chiesa il Papa e le altre autorità ecclesiali con il popolo, e alcuni cani (bianchi e neri) che rappresentano i domenicani (come si amavano far chiamare domini canes, cani del Signore), che sono preposti ad attaccare e sbranare i lupi dell'eresia.

Quello che mi colpisce è la presenza di una scena di danza e di musica sul lato destro, alcune fanciulle accennano a dei passi di danza - una suona una percussione - sovrastati da quattro figuri.

 

 

Wikipedia afferma che costoro sono "personificazioni di alcuni vizi quali la Superbia, con il falco, la Lussuria, con la scimmia, e l'Avarizia (l'uomo dalle vesti verdi). Meno chiaro appare il significato della figura che suona il violino [è una viella, n.d.r.] a sinistra della Superbia: in essa Timothy Verdon ravvisa la personificazione del Piacere. In questo contesto di distrazione dalla Retta Via, un monaco domenicano in trono, più a sinistra, impartisce loro il sacramento della confessione, permettendo loro, grazie alla via mostrata da Domenico, ancora più a sinistra, di accedere al Paradiso."

Cari amici del Kalòs, cosa ci insegna quest'affresco? che siamo destinati all'inferno, noi che cantiamo e suoniamo? o che saremo costretti a farlo continuandolo a confessare come peccato? Beh, avendo un monaco nel nostro concentus, conviene chiedere a lui, e lo facciamo qui, online.

La mia idea è che l'allegoria vada contestualizzata, che la musica e la danza se perseguita solamente come edonismo è foriera di lussuria, se non del corpo della mente. Qualcuno, comunque, ha scritto che "siamo di fronte ad una rappresentazione della nuova musica colta, scelta per accompagnare un trionfo al posto di rappresentazioni più ornamentali e simboliche; è il periodo in cui Firenze è al centro della produzione musicale italiana."1

Meno male...

 

1. Atlante della musica medievale, Jaka Book, Milano, 2011


Les Misérables

Ogniqualvolta un bel libro viene tradotto in film, anche nel caso di una versione perfettamente rispettosa del contenuto originale, si sente spesso dire che “il libro è tutt’altra cosa”, facendo un’affermazione scontata quanto inutile: un libro non potrà mai essere un film, e viceversa.

Nel caso di Les Misérables, la trasposizione è addirittura duplice, perché il film uscito nel 2012 con la regia di Tom Hooper è la trasposizione cinematografica di un fortunato musical che dal 1985 è al Queen Theatre di Londra e che a sua volta è la trasposizione teatro-musicale del libro di Victor Hugo. Inutile dire che il libro è meraviglioso e meraviglioso è il musical, e io ho avuto la fortuna di vederlo in teatro, a Londra, nel 2000.

Pur ribadendo che ogni genere è diverso dagli altri, non posso non parlare del film paragonandolo al musical teatrale, e per un semplice motivo: il film fa uso di un mezzo, il canto, che è nato per il teatro, che la regia filmica ha mortificato, evidentemente per esigenze della casa di produzione (del resto il botteghino ha dato loro ragione, perché il budget di spesa di 61 milioni di dollari è stato ampiamente coperto in tre mesi con entrate pari a circa 150 milioni di dollari...).

Partiamo da un presupposto fondamentale: nel teatro tutto è finzione. Nessuno, se non i soliti sciagurati e incalliti detrattori dell'opera si sono mai lamentati che la Mimì di Puccini, sul punto di morire di tisi, abbia forza, voce (e voglia) di intonare il suo lamento d’amore “Sono andati, fingevo di dormire”. Allo stesso modo Violetta, nella Traviata verdiana, poco dopo una crisi sempre di mal sottile, si libra nel firmamento vocale con il “Sempre libera degg’io”. Il musical, che è teatro musicale, ha ereditato questa regola: la voce esprime attraverso le sue mille variopinte inflessioni e sfaccettature i sentimenti e gli stati d’animo e guai se per esprimere stanchezza, angoscia, dolore e morte si smettesse di cantare e si cominciasse a emettere una voce soffiatamente recitata. Bastino come esempi West Side Story di Bernstein e Il fantasma dell’Opera di Lloyd Webber, due musical che non a caso hanno goduto di fortuna planetaria grazie proprio alla trasposizione filmica, al pari di Les Misérables di Boublil e Schönberg senonché, se lì Maria e Tony, Christine e Raoul cantano amore gioia, tristezza, paura e angoscia, nel film di Hooper assistiamo a una serie di rantoli e di voci sfiatate che per pseudo esigenze espressive spezzano il canto, interrompono la melodia, ci privano della bellezza di un finale che solo una nota, e non un bisbiglio, ci aveva, nel musical, commosso fino alle lacrime.

E che le necessità della produzione cinematografica abbiano avuto il sopravvento sulla qualità canora lo si intuisce dalla scelta del cast: vocalmente si salvano solo i meno noti, Êponine (Samantha Barks, che guarda caso viene proprio dal West End londinese) e Marius (Eddie Redmayne); Russell Crowe (Javert) è indubbiamente un bravo attore, ma in quanto a voce è da dimenticare; Hugh Jackman (Jean Valjean) sopravvive fino alla splendida Bring Him Home, allorquando si sente impietosa la nostalgia della voce di Colm Wilkinson (storico interprete in teatro, che potete ammirare su Youtube); Amanda Seyfried (Cosette) sarà stata brava in Mamma mia, ma non ha certo le corde per “A Heart Full of Love” e Fantine, come dicevo, non fa che gracidare, usurpandoci il diritto di commuoverci per quella che è fra le canzoni più belle del musical, I Dreamed a Dream che vi invito ad ascoltare dalla voce della interprete teatrale Ruthie Henshall.

Detto ciò, il film - ripeto: “il film” - è bello, le scenografie sono ricche e ben fatte, certe scelte registiche azzeccate, come il camminare di Javert sul cornicione del palazzo, sempre in bilico fra pietà e rigore, fra umanità e spietatezza, fra vita e morte.

Ci sovviene alla mente che la scenografia del musical teatrale era estremamente funzionale, su un palcoscenico circolare e rotante si susseguivano senza soluzione di continuità gli avvicendamenti della storia, che nel film hanno bisogno delle didascalie temporali.

E allora, mi chiedo, non era forse meglio far la stessa scelta che Lloyd Webber ha perseguito per il suo Cats, che è stato trasposto su pellicola mantenendo la regia teatrale originale?

Voci, orchestra e scene si sarebbero miscelate in un tutt’uno che solo il palcoscenico teatrale, evidentemente, sa dare, valorizzando i primi piani e quei dettagli che, invece, il cinema per sua stessa natura consente. Peccato. (Nuss)


Sant'Ambrogio, dall'Esamerone

Disse: "La terra germini", e subito la terra si riempì di germogli. Si dice all'uomo: "Ama il Signore Dio tuo", ma non si effonde in tutti i cuori la carità di Dio. Il cuore degli uomini è più insensibile delle dure pietre: mentre la terra ci somministra frutti non meritati perché obbedisce al Creatore, noi neghiamo il dovuto ossequio perché non veneriamo il Creatore.
Fu detto: "Si raduni l'acqua" e si radunò: si dice sovente: "Si raduni il popolo", e non si raduna! Non è per noi piccola vergogna vedere che, mentre gli elementi irrazionali obbediscono al comando di Dio, gli uomini dotati di ragione gli disobbediscono.
[...] Dunque l'acqua sa radunarsi, temere e fuggire, al comando del Signore. Imitiamo quest'acqua, e riconosciamo l'unica associazione del Signore, la Chiesa.


Giotto, le Nozze di Cana nella Cappella degli Scrovegni, San Giovanni Evangelista e Maddalena.

Questi i protagonisti di un intrigante articolo di Massimo Introvigne sulla Nuova Bussola Quotidiana che vi invito a leggere. In effetti, mi sono sempre chiesto chi fossero gli sposi delle nozze alle quali Gesù partecipò all'inizio della sua predicazione. Una storia semplicemente splendida... (SL)

 

 


La sacra Sindone a Lissone

Sabato 11 maggio si è tenuta a Lissone, presso la Chiesa di San Giuseppe artigiano, una serata organizzata dall'Associazione Culturale Alessandro Galimberti, dal titolo Sindone: un'immagine che sfida la scienza, nella quale il dott. Stefano Orfei, direttore del reparto di Geriatria dell'Ospedale Bassini di Cinisello Balsamo, ha condotto una lezione sulla Sacra Sindone, avvalendosi di molte immagini, illustrazioni e fotografie. Il Kalòs Concentus ha partecipato intervallando la spiegazione con alcune Laudi duecentesche, quelle che narrano la Passione e la Resurrezione di Cristo.

Più di un'ora e mezza di stringente narrazione, lucida e appassionata, con argomenti medici, prove e confutazioni, scientifiche (ma non solo), dal forte impatto emotivo per tutti i presenti, soprattutto per coloro che vedono in quel volto e in quel corpo martoriato la vera immagine di Gesù.

 

 


Variazioni Goldberg

Le Variazioni Goldberg, uno dei massimi monumenti della letteratura tastieristica, furono pubblicati nel 1742, quando Bach aveva il titolo di Compositore della Corte Reale di Polonia ed elettorale di Sassonia. Fino ad allora Bach aveva dimostrato poco interesse per questa forma, ed il fatto non può che suscitare molta curiosità intorno alle origine dell’opera. Secondo i biografi romantici di Bach, sembra che l’opera sarebbe stata commissionata da un tal conte Keyserling, ambasciatore di Russia presso la corte di Sassonia, il quale aveva alle proprie dipendenze come musicista di palazzo uno dei migliori allievi di Bach, Johann Gottlieb Goldberg. Keyserling, che pare soffrisse spesso di insonnia, chiese al maestro di scrivere qualche riposante brano per tastiera che Goldberg potesse suonargli per conciliargli il sonno. Se la cura ebbe buon effetto, è lecito nutrire qualche dubbio sulla qualità dell’interpretazione che il giovane Goldberg doveva dare a questa partitura incisiva e stuzzicante…

Tra la copiosa discografia delle Variazioni Goldberg, la mia scelta si è rivolta sulla classica interpretazione al clavicembalo di Gustav Leonhardt (Harmonia Mundi GD77149), alla storica e personalissima interpretazione di Glenn Gould al piano del 1955, (Sony Classical SMK 52954), e ad una inconsueta versione per archi con Julian Rachlin al violino, Nobuko Imai alla viola e Mischa Maisky al violoncello (Deutsche Grammophon GH4776378).

(Franco)


Un cornetto bizzarro

 

Curiosa questa immagine che Franco ci invia, "rubata" in un vicolo di Gravedona, sulla riva nord occidentale del lago di Como. Oltre alla grata che ci suggerisce fortemente una spiacevole metafora sulla situazione della musica e dell'arte in Italia, è bizzarra la posizione del cornetto, mancante di bocchino, che - per il forte orientamento orizzontale - ricorda più un flauto traverso. Il cornetto rinascimentale può essere, è vero, suonato con un'imboccatura molto laterale sul labbro, ma quest'angelo - quand'anche l'anonimo pittore che l'ha ritratto - dovrebbe prendere lezioni da uno strumentista più attendibile.


Figli di Jubal

"Caino si allontanò dalla presenza del Signore [...] conobbe sua moglie ed ella concepì e diede alla luce Enoc [...] Da Enoc nacque Irad; Irad generò Maviael; egli generò Matusael e questi generò Lamec. Lamec ebbe due mogli: la prima si chiamò Ada e l'altra Zilla. Ada ebbe un figlio, Jabel, il quale fu padre di coloro che vivono sotto le tende e posseggono armenti. Il nome di suo fratello fu Jubal; egli fu padre di quelli che suonano la cetra e il flauto." (Genesi 3, 16-21)

 

Nino Pisano, Jubal, formella (1334-36), Firenze, Museo dell'Opera del Duomo

 


Per Alberto Rossi

A Lecco, sabato 4 maggio, presso la Casa Don Guanella, via Amendola 57, dalle 18,30 in poi, si terrà una serata in memoria di Alberto Rossi, musico e incisore. Qui di seguito la locandina della serata, che dalle 20,45 in poi vedrà una serie di testimonianze e di musiche (Programma).

 

 


Città di Aosta

Siamo nel 1541, da cinque lunghi anni Giovanni Calvino tentava di portare la popolazione di Aosta al protestantesimo e all'adesione alla Confederazione Elvetica. Ma i vescovi e le autorità cittadine adottano sistemi repressivi nei confronti del teologo riformato e dei suoi seguaci, inducendolo a lasciare in tutta fretta la città. Da allora, tutti i giorni, alle 11,30, le campane di Aosta suonano a festa per ricordare la sua fuga.

La stessa cattedrale della Città era stata dedicata a Santa Maria Assunta e a San Giovanni Battitsta, e nel 1526 fu adornata con un portale alla cui sommità troneggia una scultura dedicata all'Assunzione della Vergine. La dedicazione a Maria fu un'altra scelta della città volta a combattere il Calvinismo, che cercava di infiltrarsi fra la popolazione. Il culto di Maria, infatti, non è condiviso dal movimento riformatore protestante.

 

 

 

All'interno della Cattedrale, nella navata centrale svetta un Crocifisso del 1397. Le misure di mani, braccia, gambe e piedi appaiono smisurate, quasi a suggerire - è una mia suggestione - lo smisurato amore di Dio per l'umanità. (SL)

 

 


Gli Scacchi

Le origini degli Scacchi si perdono nella notte dei tempi, come dimostrato dalla miniatura nel foglio 21 del Codex Manesse.

 

 

Pare certa comunque l’origine Indiana del gioco, anche se alcuni studiosi hanno individuato la culla degli Scacchi nel Regno Persiano, la “Mezzaluna Fertile”. Al seguito dei Musulmani, e durante l’invasione della penisola iberica (vedi nel nostro sito alla voce “Ribeca”), gli Scacchi si diffusero anche nel continente europeo, dove presero l’attuale nome, traslitterando la parola persiana shāh (Re). Tra le varianti, innumerevoli, del gioco, merita di essere segnalata quella giapponese, dove i pezzi, diversi da quelli occidentali, una volta catturati non vengono eliminati dalla scacchiera ma passano nell'altro schieramento (diventando così autentici voltagabbana), e la variante inventata da Bobby Fischer, nota come Chess 960, in cui le posizioni di partenza sono casuali e consentono 960 possibilità di varianti, buttando così all'aria intere biblioteche di libri sulle aperture… Oggi, come ai tempi del Codex Manesse, lo studio di questo gioco richiede passione, costanza, applicazione e disciplina. Un aiuto notevole per migliorare lo si può trovare nel sito www.chess.com ricco di esercizi di tattica e strategia, analisi di partite dei grandi campioni di tutti i tempi e, ovviamente, la possibilità di giocare on-line con giocatori di tutto il mondo. (Franco Boaretto)


Flauti in PVC?

Nel corso dei secoli l’uomo ha saputo fare uso del materiale che aveva immediatamente disponibile per le sue esigenze, vitali o secondarie; lo stesso vale evidentemente per gli strumenti musicali, così ecco una fioritura di strumenti costruiti in ebano, sicomoro, pero, acero, e via coltivando. Con lo stesso principio vengono costruiti oggigiorno alcuni tipi di flauti irlandesi, utilizzando tubi in PVC per uso idraulico. Seguendo questo link si può provare addirittura a farsene uno in casa. Buon lavoro…
(FB)


Interroga la bellezza della terra

"Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell'aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l'ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell'acqua, che camminano sulla terra, che volano nell'aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole... chi l'ha creata, se non la bellezza immutabile?"
(S. Agostino, Sermo 241, 2)


Laudate Dominum, quoniam bonus est psalmus (Ps. 146, 1)

Il salmo infatti è benedizione del popolo, lode a Dio, inno di lode del popolo, applauso generale, parola universale, voce della Chiesa, canora professione della fede, devozione piena di autorevolezza, gioia della liberazione, grido dell'allegrezza, esultanza della gioia.
Mitiga l'ira, respinge l'angoscia, solleva dal pianto. Arma nella notte, magistero nel giorno, scudo nel timore, festa nella santità, immagine della quiete, pegno della pace e della concordia: come una cetra, da suoni diversi e diseguali esprime un unico canto.
Lo spuntare del giorno fa risuonare il canto del salmo, col canto del salmo risponde il tramonto.
(S. Ambrogio, Explanatio Psalmorum)


San Pietro martire, vicino casa...

Leggevo l'introduzione alle laudi; si fa riferimento a San Pietro martire: fu martirizzato presso Meda da sicari mandati dai Confalonieri (famiglia le cui tracce sono ancora rintracciabili a Carate) che proteggevano i catari nel loro castello (il castello di Aià: Agliate, cioé) che si trovava nella boscaglia che sta a sinistra appena superato (andando verso Besana) il ponte "grande" di Realdino. Il castello fu raso al suolo completamente proprio in seguito all'omicidio del Santo del quale fu riconosciuto responsabile il protettore dei catari. Insomma a Carate abbiamo anche un "giustiziere" di inquisitore. (Raimondo)

 

 


Legno di Sicomoro

La nostra Dolzaina è in legno di sicomoro, l'albero sul quale un giorno si arrampicò Zaccheo.
Manteniamo sempre viva la nostra curiosità verso "il Bello" con la speranza di essere contagiosi. (Marco)