QUANDO L’AGNELLO APRÌ
11 maggio 2025, IV DOMENICA DI PASQUA C                
(At 13,14.43-52; SI 100/99; Ap 7,9.14b-17; Gv 10,27-30)

 

L’Agnello che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita (Ap 7,17)

 

Quando l’Agnello aprì i primi quattro sigilli che chiudevano il libro, Giovanni vide quattro cavalieri su quattro cavalli di diverso colore (Ap 6,1-8).
Il primo cavallo era bianco e il suo cavaliere aveva un arco e portava una corona, segno di vittoria.
Il secondo cavallo era rosso vivo e al suo cavaliere fu data una grande spada in modo che gli uomini si sgozzassero l’un l’altro.
Il terzo cavallo era nero e il suo cavaliere aveva in mano una bilancia con la quale pesava, razionava e stabiliva il prezzo del cibo secondo il proprio interesse.
Il quarto cavallo aveva il colore verdastro dei cadaveri e il suo cavaliere si chiamava Morte. Gli veniva dietro l’inferno e gli fu dato potere sopra la quarta parte della terra.
L’apertura dei primi quattro sigilli fece vedere a Giovanni la storia dell’umanità.
Il mondo com’era nel desiderio di Dio e com’era stato ridotto dal peccato dell’uomo. L’essere umano, come il primo cavaliere della visione, era stato fatto di poco inferiore agli angeli, coronato di gloria e di onore, signore della creazione (Sl 8,6-7).
Ma la disobbedienza aveva trasformato la terra in un luogo di violenza, ingiustizia e avidità, anche se solo un quarto della terra era nelle mani dei tre cavalieri malvagi, perché Dio aveva posto un limite al loro potere.
Egli avrebbe portato a compimento ciò che aveva iniziato perché, come aveva profetizzato Isaia nel suo ultimo libro, nessuna parola uscita dalla sua bocca rimane senza effetto, senza realizzare ciò per cui è stata inviata (Is 55,11).
Dio aveva creato il mondo con la Parola (Gen 1,3), e con Colui che è la Parola avrebbe portato a compimento la sua opera.

 

Ma, in un mondo segnato dal potere del più forte, Gesù avrebbe percorso un’altra strada.
Avrebbe annunciato ai poveri un lieto messaggio, per i piccoli e gli insignificanti avrebbe predicato un anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).
Si tenne a distanza da chi lo cercava per farlo re come i potenti di questo mondo (Gv 6,15) e non fece nulla per impedire ai suoi stessi discepoli di andarsene se la sua parola era troppo dura e scandalizzava (Gv 6,60).
Anche ai Dodici chiese di decidere se andare dietro a lui o voltagli le spalle.
La sua domanda non era retorica e, nonostante tutto, nemmeno la risposta di Simon Pietro fu retorica: Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio (Gv 6,68).
Erano un piccolo gregge che ascoltava la voce del suo pastore e lo seguiva.
E Gesù era il pastore che conosceva le sue pecore.
Nel Quarto Evangelo conoscere è il verbo della relazione d’amore.
L’ora di Gesù iniziata a una festa di nozze a Cana, si sarebbe compiuta sulla cima del Golgota, con un’alleanza nuziale, fedele, definitiva e unilaterale (Gv 19,30).
A Cana l’acqua divenne vino.
Sulla croce quel vino divenne sangue.
Il sangue dell’Agnello-Pastore.

 

Con l’apertura del quinto sigillo Giovanni vide, sotto l’altare, le anime di chi aveva versato il sangue a causa della parola di Dio.
La rottura del sesto sigillo fece apparire uno scenario terrificante: la terra tremava, le stelle precipitavano, la luna prese il colore del sangue e il cielo si accartocciò su se stesso.
Ma, mentre tutti i potenti della terra tremavano per la paura e invocavano la morte (Ap 6,9-17), i servi segnati sulla fronte furono preservati: erano centoquarantaquattromila, il resto dei figli d’Israele che tornava dall’esilio, seguiti da una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.
Tutti con le loro vesti bianche e palme nelle mani stavano in piedi davanti all’Agnello.

 

Quando l’angelo aprì il settimo sigillo ogni cosa si arrestò in un silenzio solenne, per circa mezz’ora.
L’ora era compiuta: tutte le preghiere dei perseguitati e degli umiliati salirono verso Dio e ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe (Ap 7,1-6).
Con la sua voce il Signore avrebbe cancellato tutto il male dal mondo e la morte, ma gli uomini che avevano perseverato nella testimonianza sarebbero stati al sicuro e l’Agnello-Pastore avrebbe guidato il suo gregge alle fonti delle acque della vita.

 

Quando Giovanni Battista per la seconda volta indico in Gesù l’Agnello di Dio, i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Che cosa cercate? – chiese il Signore.
Cercavano la sua casa e la loro (Gv 1,29-39).
Andrea e un altro di cui non si dice il nome, furono i primi discepoli di Gesù.
In seguito se ne aggiunsero altri, un piccolo gregge di Dodici uomini che aveva trovato il suo pastore.
Un gregge che si disperse quando il pastore fu percosso (Mc 14,27).
Gesù aveva promesso che nessuno li avrebbe strappati dalla sua mano e da quella del Padre eppure, quel giorno, vigilia della festa di Pasqua, le sue mani prima furono legate e poi inchiodate al legno della croce.

 

Come avrebbe potuto difendere il suo piccolo gregge un pastore diventato agnello sacrificale?

 

Con un colpo di lancia.

 

Un provvidenziale colpo di grazia che aprì il cuore di Gesù e fece sgorgare sangue e acqua (Gv 19,33-34).

 

Ritto in piedi, con la ferita nel fianco, l’Agnello-Pastore con il suo sangue cominciò a dissetare alle fonti delle acque della vita il piccolo gregge raccolto sotto la croce.
Un discepolo, la madre e altre due, forse tre, donne (Gv 19,25) furono il seme che avrebbe generato una moltitudine immensa che nessuno potrà mai contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.

 


Avanzatevi – dirà (Dio) – anche voi, avanzatevi ubriaconi, avanzatevi uomini deboli, dissoluti! E noi tutti avanzeremo senza vergognarci e ci fermeremo davanti a Lui ed Egli dirà: Voi siete i miserabili, immagini, impronte, ma venite anche voi.
E allora diranno i saggi, gli uomini assennati: Signore perché accogli anche costoro? Perché li accolgo, saggi, perché li accolgo, uomini assennati? Perché nessuno di essi è stimato degno di questo…
E ci tenderà le braccia e noi ci getteremo nelle sue braccia e piangeremo e comprenderemo tutto, sì allora comprenderemo tutto.
(Fëdor  Dostoevskij, Delitto e castigo)