GIOVANNI TERMINA L’APOCALISSE
18 maggio 2025, V DOMENICA DI PASQUA C
(At 14,21b-27; SI 145/144; Ap 21,1-5a; Gv 13,31-33°.34-35)
Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed Egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
(Ap 21,3)
Giovanni termina l’Apocalisse con sette visioni, come un ultimo sigillo posto sul libro e sulla Sacra Scrittura (Ap 19,11-20,10).
Le prime quattro mostrarono all’apostolo la condizione dell’uomo e la sua lotta contro il potere del male.
Le ultime tre gli rivelarono l’orizzonte di speranza che sostiene la storia, nell’attesa che tutto, compresa la morte, sia sottomesso all’azione vittoriosa di Cristo (1Cor 15,24-26). Allora il drago e tutte le potenze che sono al suo servizio saranno distrutte e l’umanità sarà ricreata.
Nella prima delle sette visioni, Giovanni vide il cavallo bianco che aveva già incontrato all’inizio (Ap 6,2).
Il cavaliere era avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome era Parola di Dio. Dalla sua bocca usciva una spada.
La Parola è la spada a doppio taglio (Ap 1,16; Eb 4,12) che elimina tutto ciò che è carnale e mondano, ciò che genera peccato e morte. Il potere maligno del serpente antico, satana, è illusorio e limitato e il suo destino è segnato perché Colui che è la Parola lo annienterà.
La glorificazione di Gesù e la fine del potere del diavolo iniziarono nell’ora in cui Giuda uscì dal cenacolo ed entrò nella notte.
Il Sommo Sacerdote e Pilato pensavano di essere i giudici nel processo contro Gesù di Nazareth, ma in quell’aula di tribunale che è il Quarto Evangelo Gesù è l’unico vero giudice che il Padre non ha mandato per condannare il mondo, ma per salvarlo (Gv 3,17).
Essi pensavano di avere il potere di mettere in libertà o mettere in croce il Re dei Giudei (Gv 19,11) e non si rendevano conto che Dio si serviva di loro (come di Giuda) per portare a compimento la sua opera.
Quella notte il buio che era sceso su Giuda scese anche nel cuore degli altri discepoli che abbandonarono Gesù e fuggirono (Mc 14,5o).
Solo il Discepolo Amato rimase accanto al suo Signore (Gv 13,25).
Lo seguì dentro il cortile del sommo sacerdote (Gv 19,15) e continuò a camminare dietro di lui fino al Golgota.
Non si lasciò impressionare dalla violenza e dal sarcasmo dei soldati quando Gesù fu flagellato, coronato di spine e spogliato delle sue vesti (Gv 19,1-2.17-24).
E, mentre tutti vedevano in Gesù solo un crocefisso nudo e inerme, il Discepolo Amato riconobbe in lui l’Agnello senza difetti che offre la sua vita per liberare il suo popolo (Es 12,5) e vide nella croce il Trono che il Padre aveva preparato per Figlio, Signore e Giudice della storia (Gv 19,19).
La quinta visione mostrò a Giovanni i troni su cui sedevano quelli che avevano dato la vita a causa della testimonianza di Gesù e della Parola di Dio (Ap 20,4-6). Uomini e donne che il mondo condanna ma che un giorno giudicheranno il mondo (Mt 19,28).
Nella sesta visione apparve un trono bianco e Giovanni vide Colui che sedeva in esso. Furono aperti i libri e anche il libro della Vita.
Il mare, la morte e gli inferi restituirono i morti e ciascuno fu giudicato secondo le sue opere.
Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco con chi non era scritto nel libro della vita (Ap 20,11-15).
Dopo questo Giovanni vide un cielo nuovo e una terra nuova.
Il mare, luogo della presenza del male, non c’era più e dal cielo scese la Gerusalemme nuova, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
È l’ultima visione dell’Apocalisse, l’ultima visione della Scrittura.
È l’Ottavo Giorno, il Giorno senza tramonto, l’inizio di un tempo di pace, quando Dio amerà il suo popolo con la passione e la tenerezza di uno sposo.
Sarà Dio-con-loro, l’Emmanuele, il Seme che muore per dare vita alla nuova creazione (Gv 12,24).
Gesù non lasciò in eredità ai discepoli né oro né argento (At 3,6), ma il suo amore.
Un amore che è dono prima di essere comandamento.
Una grazia come l’acqua e il sangue che sgorgò dal fianco di Gesù quando il soldato lo colpì con la lancia (Gv 19,34).
Dal cuore trafitto di Gesù scese la Gerusalemme nuova, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
In quella ferita sta la tenda di Dio con gli uomini.
Rabbi, dove dimori?
È la domanda che due discepoli di Giovanni posero a Gesù.
Ed è, non a caso, la prima domanda del Quarto Evangelo.
Venite e vedrete, era stata la sua risposta (Gv 1,38-39).
Solo alla fine, quando giunse la sua ora, i discepoli videro il luogo della sua dimora.
Almeno i discepoli che andarono e videro.
Tra i maschi solo il Discepolo Amato, poi alcune donne: la Madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala (Gv 19,25).
Il paradosso della fede è riuscire a vedere in un luogo di morte il giardino dove Dio passeggia con le sue creature, riuscire a contemplare l’albero della vita in uno strumento di legno progettato per le esecuzioni capitali (Gen 2,8-9).
Sulla cima del Golgota, nel momento della morte di Gesù, il serpente antico, cioè il Diavolo, Satana, fu gettato nell’abisso perché non seducesse più le nazioni (Ap 20, 2-3).
La Madre e il Discepolo Amato volsero lo sguardo a colui che avevano trafitto (Gv 19,37) e videro in quel cuore aperto la Dimora di Dio con gli uomini, dove – come scrisse Giovanni molti anni dopo – ogni lacrima sarebbe stata asciugata e non vi sarebbe stata più la morte, né lutto, né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate.
E, nel silenzio che scese sul Golgota, la Madre e il Discepolo Amato udirono distintamente la voce del Figlio: Ecco, – disse – io faccio nuove tutte le cose.
L’essere innalzato è la condizione perché il Crocefisso (e non solo il risorto) possa attrarre a sé. E come potrebbe il Crocefisso attrarre, se non fosse in alto e ben visibile? Come potrebbe attrarre se non fosse svelato in tutta la sua verità di crocefisso, morto e risorto? La forza di attrazione del Crocefisso raggiunge ogni uomo.
(Bruno Maggioni)