DIO SCRISSE DUE VOLTE
6 aprile 2025, V QUARESIMA C
(Is 43,16-21; SI 126/125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11)
E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra (Gv 8,8)
Dio scrisse due volte le parole della Legge incidendole con il dito nelle tavole di pietra in cima al Sinai, la seconda a causa dell’infedeltà di Israele (Es 31,18; 34,1).
Due volte Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra nel cortile del Tempio.
Geremia scrisse due volte il suo libro di profezie, la seconda dopo che il re gliel’aveva stracciato e gettato nel fuoco (Ger 36,21-32).
Due volte Gesù si rialzò davanti a scribi e farisei che la accerchiavano.
Due volte l’angelo offrì a Elia, desideroso di morire, un pane e una parola perché c’era un lungo cammino che lo attendeva (1Re 19,4-8).
Due volte il Signore si rivolse all’ostinato profeta Giona che non voleva saperne di andare in missione a Ninive (Gio 1,2; 2,3).
Il Padre che è nei cieli concede sempre ai suoi figli una seconda possibilità perché Egli non gode della morte del peccatore, ma desidera che si converta e viva (Ez 33,11).
O, come affermano i musicanti di Brema: C’è sempre qualcosa di meglio della morte.
Invece per il gruppo di scribi e farisei che quel giorno accerchiarono Gesù e la donna sembrava che non ci fosse spazio né per la discussione e tanto meno per la misericordia.
La Legge rimane buona ma, messa in mano agli uomini, può uccidere.
Lo scopo di quella sceneggiata più che di lapidare la donna era di trovare un pretesto per uccidere Gesù, il sedicente Messia di Nazareth che trasgrediva il Sabato e bestemmiava dicendo di essere il Figlio di Dio (Gv 5,18; 9,13; 10,36).
Della donna, sorpresa in flagrante adulterio, non sappiamo nient’altro se non il peccato.
Non ha un nome, non sappiamo se fosse ricca o povera, libera, fidanzata o sposata, costretta o consenziente.
È identificata con la sua colpa.
Il cerchio di giudici che la circondava era già una prigione.
Ma, dentro quel cerchio, la donna incontrò Gesù che si chinò due volte accanto a lei, si portò al suo livello.
Il Verbo di Dio non si fece carne per far rispettare la Legge, ma per portarla a pieno compimento (Mt 5,17).
E il nome del compimento è misericordia (Lc 6,36).
Colui che non ha conosciuto peccato, Dio l’ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui (2Cor 5,21).
Che Dio abbia riscritto la Legge dopo il peccato del popolo manifesta la volontà di perdonare i suoi figli, perché senza la grazia della misericordia non è possibile alcun cammino di conversione.
Per invitare tutti alla conversione, scribi, farisei e la donna, Gesù non rispose alla domanda che gli fu posta, non entrò nel merito della questione.
Con il suo silenzio, con i segni tracciati nella sabbia e, solo alla fine, con la parola, cercò di aiutare tutti i presenti, compresa la donna, a un nuovo sguardo su di sé e su Dio.
Sul Dio di Israele che aveva condiviso il destino del più piccolo popolo della terra, che l’aveva accompagnato nella lunga traversata del deserto alla fine del primo esilio e l’aveva guidato fino a casa alla fine del secondo esilio.
Nel primo esodo il Signore aveva aperto una strada nel mare.
La seconda volta fece molto di più, irrigò il deserto, lo rese fecondo perché il popolo non patisse la fame.
Per questo dice il salmo: Ci sembrava di sognare…
Ma quando si tratta di Dio i sogni non sono utopia, sono realtà.
Quando Egli dice, le cose sono (Gen 1,3).
Con la sua Parola Egli trasforma il pianto della sera nella gioia di un nuovo giorno.
In pochi minuti, con il suo silenzio, con i suoi gesti e una parola, Gesù raccontò l’incredibile storia del popolo che Dio ha scelto per essere una benedizione per tutte le famiglie della terra (Gen 12,2-3).
Gli accusatori della donna non replicarono alle parole di Gesù.
Forse alcuni di loro quel giorno iniziarono un cammino di conversione, attraversarono un deserto di aridità e inflessibilità per ritrovare il Dio che perdona tutte le tue colpe e guarisce tutte le tue malattie, misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore (Sl 103,3.8).
Alla fine il cerchio si spezzò e al centro del cortile rimasero Gesù e l’adultera.
Il Signore si alzò e rialzò anche lei chiamandola donna.
Lo stesso termine con cui si rivolge alla madre alle nozze di Cana (Gv 2,4) e sul Golgota (19,26).
E a Maria di Magdala all’alba del primo giorno della settimana (Gv 20,15).
Per quanto riguarda quest’ultima, Maria di Magdala, c’è una curiosa coincidenza che ha a che fare con l’espressione due volte.
Quando la Maddalena incontrò Gesù nel giardino dov’era stato sepolto, prima di riconoscerlo lei si voltò due volte verso Colui che aveva scambiato per il custode del giardino.
Poi la chiamò per nome – Maria – e il suo cuore riprese a battere e, come dice il salmo, le sembrava di sognare perché aveva riconosciuto la voce del suo Maestro (Gv 20,14-16).
Due volte, quindi, perché – come insegnano i maestri – riscrivere è più importante che scrivere, ricominciare è più importante dell’atto di cominciare.
Due volte perché a tutti Dio offre sempre una seconda possibilità di riscrivere pagine della propria vita, di ricominciare cammini interrotti per andare e non peccare più.
Due volte che significa sempre, perché il nome di Dio è Misericordia (Es 34,6).
Se non fosse la Scrittura a dirlo espressamente – dice Rabbi Aqivà – non potremmo affermare quanto siamo andati dicendo.
E, se non fosse per la Parola di Gesù, per i suoi gesti e si suoi silenzi, da quel cerchio la donna non sarebbe mai uscita.
Convertirsi significa non rassegnarsi alla fatalità di un verdetto di morte e attingere la forza di rialzarsi ancora a una sorgente nascosta nel più profondo del sé.
(Catherine Chalier, Il desiderio di conversione)